Prof, che ci fa sentire?

Capita di ritrovarsi in una scuola alberghiera. E di vivere una bella esperienza
Cuochi di una scuola alberghiera

Nell’anno in cui ricorre il 350simo di fondazione della mia congregazione, le Suore del Bambino Gesù di Nicola Barrè  ho chiesto al Signore due cose: aiutarmi a vivere più radicalmente le Parole del Vangelo che han dato origine al mio istituto: «Dio ha tanto amato il mondo da mandare il suo Figlio Unigenito, affinché chi crede in Lui abbia la vita eterna» e «Chi accoglie un bambino povero e abbandonato accoglie doppiamente Gesù»; un contesto dove, come dice il mio fondatore, «l’Incarnazione di Gesù rischia di non avvenire».
 
Il Signore non si lascia vincere in generosità. Così un mese dopo vengo chiamata in un istituto alberghiero della capitale. L’impatto non è semplice. Prima d’incontrare direttamente i ragazzi vengo aggiornata, attraverso i consigli di programmazione, delle situazioni di ogni classe, per nulla incoraggianti. Tra l’altro, io provengo da un’esperienza umana-culturale ricchissima vissuta in un liceo classico.

Immediatamente capisco che devo lasciare schemi e idee che non corrispondono alla realtà nuova che mi si presenta. Sento su di me uno sguardo di compatimento (nel senso che lì si patisce davvero con…) da parte dei colleghi. Una, in particolare, avendo saputo che sono una religiosa mi dice: «Qui sei chiamata a diventare santa!». È proprio una bella sfida!
 
Con un po’ di preoccupazione inizio le lezioni e verifico che ciò che mi è stato comunicato è vero. Tuttavia, forte della Parola che mi accompagna ogni giorno e della certezza che Gesù mi precede proprio in quei volti, sperimento la bellezza dell’avventura educativa… e ogni giorno è un crescendo.

I ragazzi, superati l’apatia e l’indifferenza iniziale, o quell’atteggiamento ironico di chi contesta la religione e anche la mia scelta vocazionale, sono molto incuriositi dalla mia storia: «Ma chi gliel’ha fatto fare di diventare suora!», mi dicono. Avverto che non posso non rispondere e condivido qualcosa di me, con loro bisogna giocare a carte scoperte…

Solo così si può costruire  un rapporto dove anche loro si mettono in gioco. Non parto da ragioni filosofiche, ma dalla realtà quotidiana che invoca una risposta alla domanda di senso: "Perché devo alzarmi al mattino (qualcuno lo fa all’alba!)?, perché devo studiare?".

Sono serissimi nel seguire le lezioni di laboratorio, ma si dimostrano insofferenti o indifferenti per le materie teoriche – o l’educazione fisica  – ,  quando non sono funzionali alla professione. Vivere il reale, amare, soffrire (quanta sofferenza incontro!), ma: "Abbiamo coscienza che stiamo vivendo?".

Una domanda che colpisce i ragazzi come un fulmine e che suscita nei loro volti una smorfia tra il sorriso e il dolore. Si parla allora – partendo dalla loro realtà concreta che pian piano affiora dai loro interventi –: del valore della persona, della responsabilità dell’io, del senso religioso, della ricerca di Dio nell’uomo e nella storia. Qualcuno è sorpreso perché la classe ascolta e cerca di rompere il clima ironizzando sul fatto che “guarda caso qualcuno s’è messo a pensare!” Ma la classe non si scompone.

Suona la campanella. La collega che aspetta all’uscita della classe mi chiede cosa sto trattando (e vengo a scoprire che lo chiede anche ai ragazzi che continuano a parlare dell’argomento). Con lei nasce un’amicizia e si cerca insieme un percorso comune a partire dalle rispettive discipline. Ci si trova così a scegliere brani di letteratura o di poesia che parlano dell’anelito dell’uomo, del suo desiderio di felicità vera. Questo confronto avviene anche con altri colleghi, appassionati al lavoro educativo.
 
E i ragazzi rispondono, si sentono presi sul serio diventando loro stessi i primi attori della lezione. Un esempio: una mattina entro in classe con il lettore CD, voglio affrontare i diversi atteggiamenti dell’uomo di fronte alla domanda di senso. I ragazzi ridendo mi chiedono: «Prof, che ci fa sentire canti di messa?». «Vedrete!» rispondo. Seguendo i testi i ragazzi s’imbattono con la “la risposta sospesa” di Bob Dylan, con lo “scetticismo” espresso da Guccini , con la “domanda e la ricerca ” di Bono degli U2 che riconosce comunque il fatto cristiano.

Chiedo loro: «Voi dove vi ritrovate?». Ci stiamo confrontando quando uno alza la mano e dice: «Io scrivo poesie, volete sentirne una?». Un compagno gli improvvisa un sottofondo e lui incomincia con lo stile rap a raccontare l’esperienza dolorosa della morte di un amico di scuola. È un grido, una invocazione: qual è la risposta umana al dolore, al limite, alla morte?
 
Il clima in classe è incredibilmente sospeso. Ricordando Giovanni Paolo II, propongo la riflessione che il pontefice aveva fatto durante il Giubileo degli artisti a Bologna. Rispondendo proprio a Bob Dylan aveva detto che «non è vero che la risposta soffia nel vento. Uno ha detto di essere la risposta: Gesù Cristo attraverso la sua morte e resurrezione». Il clima e l’ascolto sono tali da comunicare tutta la profonda realtà in cui sono immersi e la lezione  termina con un applauso commosso.
 
Penso: «Non è vero che i giovani, i futuri cuochi, ristoratori della mia scuola siano indifferenti alla bellezza, alla verità. Forse, anzi, proprio perché molti di loro vivono sulla pelle situazioni difficili sono più sensibili alla ricerca del vero, del giusto e del bene. In fondo desiderano solo un’attenzione, uno sguardo d’amore». Il mio fondatore, Nicola Barrè, afferma che «proprio nei bambini, nei giovani in cui Gesù sembra trasfigurato è invece doppiamente presente la Sua persona». Nei loro volti io ritrovo doppiamente Gesù.

E tutto questo è dono di Dio! È ciò che mi fa vedere “nuove” ogni giorno le persone che mi regala, è la grazia da cui scaturisce la forza  persuasiva e la bellezza del Vangelo che rende possibile la testimonianza viva, che abbraccio nei miei fallimenti, nei miei limiti e nei dolori che incontro che  rendono quest’avventura umana vera, appassionante e bellissima. È proprio una conferma delle promesse di Gesù: "il centuplo quaggiù” e l’esperienza della Parola vissuta che diventa ogni giorno “evento”.

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