Produzione di armi. Una questione di coscienza

Si può rinunciare ad un lavoro ben remunerato perché va contro i principi in cui si crede? Federico Di Iorio, giovane ingegnere aerospaziale, lo ha fatto e ha raccontato la sua storia nel corso del convegno "La fraternità universale in cammino: il disarmo possibile", che si è svolto in Parlamento in memoria di Chiara Lubich
Cluster bomb

Si può rinunciare ad un lavoro ben remunerato e con buone prospettive di carriera perché va contro i principi in cui si crede? Federico Di Iorio, giovane ingegnere aerospaziale, lo ha fatto e ha raccontato la sua storia nel corso del convegno "La fraternità universale in cammino: il disarmo possibile", che si è svolto mercoledì in Parlamento in ricordo di Chiara Lubich, fondatrice dei Focolari e del suo impegno per la pace e il dialogo.

 

«Vengo dall’Abruzzo, ma vivo a Torino per lavoro. Ho 25 anni. La mia storia è molto semplice, a tratti già sentita e risentita; quella di uno studente che, come tanti oggi, sceglie di lasciare la propria casa per trovare la propria formazione e realizzazione altrove, dove ci sono più alternative e forse anche più possibilità di riuscita.

 

Mi sono trasferito all’età di 19 anni a Pisa per intraprendere gli studi in ingegneria aerospaziale. Un percorso faticoso ma pieno di soddisfazioni. In 5 anni infatti sono riuscito a portare a termine la specializzazione in campo spaziale con il massimo dei voti, compreso uno stage in Germania che ha ancor di più arricchito le mie competenze. Il tutto con il sostegno e i sacrifici della mia famiglia.

 

Una volta laureato ero consapevole che si sarebbe aperta una nuova fase della mia vita. Mi attendeva il mondo del lavoro e io aspettavo con ansia di poter trovare il mio posto.

 

Si presentava apparentemente un quadro alquanto incoraggiante. Di fatti tra il 2002 e il 2014 il fatturato delle imprese operanti nel settore aerospaziale è in continua crescita, con picchi del 43% dal 2008 in poi. Nonostante tutti questi incoraggianti numeri, in realtà in Italia si contano già approssimativamente 40 mila addetti operanti in questo ambito e 500 aziende dislocate per lo più, in Piemonte, Campania, Lombardia e Puglia.

 

Anch’io, quindi, ho dovuto fare i conti con la situazione attuale del nostro Paese, che registra un tasso di disoccupazione giovanile del 40%, con aziende che possono offrirti solo contratti a tempo determinato, pagamenti a commesse con scadenze trimestrali o semestrali, lavori di consulenza. Insomma, non era certamente una rosea prospettiva.

 

Dopo qualche mese speso a inviare il mio curriculum in giro per l’Italia, tra qualche colloquio telefonico illusorio e risposte alquanto vaghe ricevute via email, iniziavo a perdere un po’ le speranze pensando forse che mi restavano due possibilità più favorevoli, ossia abbassare il tiro e magari riciclarmi come ingegnere in altre applicazioni industriali, meccaniche soprattutto,oppure, come avviene non di rado, migrare in un altro Paese.

 

Da lì a pochi giorni, però, ricevo una proposta di colloquio, a dir la verità anche in modo inaspettato. Si trattava di un’azienda rappresentante il principale Consorzio Europeo costruttore di missili e tecnologie per la difesa. L’idea di poter prendere parte al primo vero colloquio in un’azienda importante come questa era molto allettante. Decisi, dunque, di accettare il primo incontro telefonico. Dopo un’impressione positiva da entrambe le parti, venni poi invitato in azienda per affrontare un secondo colloquio faccia a faccia con il personale tecnico.

 

A questo punto avvertii una sensazione di disagio: crescevano dentro di me molti dubbi riguardo la natura e gli obiettivi di questa azienda.

 

L’idea di contribuire alla progettazione di missili non rispecchiava affatto i principi in cui credo, ma nel frattempo ero molto incuriosito dalla possibilità che mi era stata offerta di fare esperienza di un colloquio di lavoro e, dentro di me, nasceva la speranza che magari avrei ricevuto un impiego come dire “imparziale”, che non mi coinvolgesse in primo piano alla fabbricazione di armi.

 

Decisi dunque di presentarmi al secondo incontro. Anche questo ebbe un esito molto positivo. Da subito ho apprezzato la serietà e la professionalità dell’azienda nonché un ambiente molto giovanile e stimolante. Riuscii a farmi valere tra diversi candidati, tanto che dopo una settimana venni richiamato e invitato a un terzo incontro nel quale si sarebbero stabiliti gli aspetti formali dell’offerta economica. Ovviamente era stato precisato che l’incarico offertomi era direttamente legato alla produzione di missili.

 

Dunque la semplice proposta si stava concretizzando sempre di più e io mi sentivo con le spalle a muro. Da una parte un posto fisso, con un contratto a tempo indeterminato, un buonissimo stipendio e tanta possibilità di far carriera al suo interno. Dall’altra il mio credo, quello di voler essere un cittadino, ma, prima di tutto, un uomo che si impegna nella costruzione di una società nonviolenta, basata sul rispetto dei diritti umani, sulla giustizia sociale, su un giusto equilibrio tra bisogni umani, ambiente e utilizzo delle risorse, dove l'ambizione di alcuni non calpesta la dignità dell'altro, dove il successo economico non sia la scusa per dimenticarsi dell'essere umano.

 

A complicare ancor di più la valutazione, si aggiunsero i pareri di molte persone come i miei colleghi di studi che mi spingevano ad accettare il lavoro senza badare a questi miei moralismi. Mi ribadivano l’incontestabile tesi che un ragazzo di 25 anni neolaureato non poteva permettersi di rifiutare un lavoro di questi tempi, e a tali condizioni e prospettive. Volevano farmi porre di fronte alla realtà e di quanto fossi fortunato e anche incosciente. Era anche lecito il mio pensiero di non voler pesare più sul bilancio famigliare e poter sgravare la mia famiglia che, con non pochi sacrifici, ha dato la possibilità di studiare sia a me che a mio fratello.

 

Di contro posso dire che hanno giocato un ruolo decisivo, le persone a me più vicine, la famiglia, la mia ragazza e tanti ragazzi dei Giovani per un mondo unito con cui mi sono formato e che come me credono nei miei stessi ideali e hanno sostenuto la mia causa.

 

Da qui il percorso ha subito una svolta decisiva: quella che all’inizio era solo una voce della coscienza che aveva portato a mettermi in discussione, ora si era rafforzata. Era maturata e divenuta molto chiara l’idea che per costruire una società solidale e non-violenta occorre operare concretamente, testimoniando e pagando di persona. Era il mio momento per poterlo fare, così ho risposto all’azienda che non potevo proseguire precisandone con trasparenza i motivi.

 

Indubbiamente non è stata una scelta facile, in special modo perché non avevo altre offerte tra le mani. Ma di certo non mi sono fatto fermare da ciò, ho continuato la mia ricerca e, dopo alcune settimane, sono arrivate altre proposte, anche queste vagliate e filtrate alla luce dell’esperienza fatta, ma che mi hanno portato dove sono oggi, felicemente soddisfatto del lavoro che svolgo come ingegnere aeronautico nel settore civile».

 

(Leggi anche l'articolo: "Armi, utopia e principio di realtà" di Andrea Goller e Rosalba Poli)

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