Tra povertà e provocazioni turche

Nuove misure di austerità, provocazioni turche, negoziato sul nome della Fyrom rendono l’inizio dell’anno nuovo stressante per il governo ellenico. In agosto scadrà il “terzo memorandum”, un evento che Tsipras considera come un successo. Sarà così?
Proteste davanti al Parlamento di Atene contro le nuove misure di austerità adottate.

Pochi giorni fa il Parlamento greco ha votato un nuovo pacchetto di misure di austerità (non sarà l’ultimo), incluso in un disegno di legge gigante (1600 pagine e più di 400 articoli) che permetterà ai creditori internazionali l’avvio dell’ultima tranche di aiuti dai 6,7 miliardi di euro. La legge prevede tra l’altro inasprite condizioni sugli scioperi (per i quali d’ora in poi servirà la presenza di almeno il 50% degli iscritti per indirlo, mentre finora bastava il 20%), l’asta pubblica on line delle case dei cittadini che non possono ripagare i loro prestiti, ulteriori tagli delle uscite sociali, intensificazione delle privatizzazioni e l’apertura del mercato dell’energia.

Anche se il ministro delle Finanze si dichiara fiero di questa legge perché «sta risolvendo problemi rimasti per anni e che nessuno voleva toccare», e il premier esprime l’ottimismo che «la Grecia è a un soffio dal liberarsi del controllo della Troika», economisti e analisti politici sono meno ottimisti.

In primo luogo, gli osservatori indipendenti riconoscono che se queste misure fossero state avanzate dai precedenti governi la capitale sarebbe stata messa a ferro e fuoco, mentre ora (per sfinimento) ci sono solo manifestazioni minori. In secondo luogo, il tasso di disoccupazione e sceso di 6 punti ma si tratta di posti di lavoro di durata limitata, par time e mal pagati (300-350 euro). Terzo, anche se il terzo memorandum (dovuto agli “eroismi” dell’ex ministro Varoufakis) scadrà in agosto, questo non significa che la sorveglianza della Troika finirà. Questo è il punto più spinoso: il premier e il suo governo non smettono di ripetere che non credono in queste misure ma sono costretti a promulgarle. Che farà quindi Tsipras il giorno dopo la fine della “tutela”? Farà marcia indietro? Sarebbe un vero disastro, perché tutti i sacrifici fatti dal popolo greco verrebbero vanificati.  Può darsi che, in vista delle elezioni di fine 2018 o inizio 2019, Tsipras ritorni alle sue convinzioni di sinistra giusto per far vedere a una grande parte dei suoi sostenitori (ormai persi) che ha mantenuto il suo credo e che seguirà un’altra politica.

Intanto il popolo è stremato. Non solo per la disoccupazione, per i tagli nello Stato sociale, per le tasse enormi, per i tagli alle pensioni e agli stipendi, per il crollo del costo delle locazioni. Ormai la gente perde anche la sua casa principale in aste online o è costretta ad affittare la propria casa anche senza affitto, basta che l’utente paghi quelle spese correnti (luce, gas, acqua, condominio) che il proprietario non riesce a pagare. Ma c’è di più. Sono migliaia le persone che sono costrette a rinunciare al patrimonio familiare perché non possono pagare le tasse di eredità e a mantenere così il proprio patrimonio.

È tuttavia comprensibile che il governo, nonostante l’ottimismo di facciata e la “success story” che invoca, sia particolarmente stressato anche perché teme una perdita di voti derivante da altre ragioni, come la gestione del problema delle continue provocazioni turche sui confini territoriali, e la pretesa del governo turco che venga concessa l’estradizione dei militari turchi che hanno chiesto asilo politico in Grecia dopo il tentato golpe. Un’altra fonte di preoccupazione è il negoziato sul nome della Fyrom (cioè del territorio che ha come capitale Skopje, che i politici locali chiamano “Macedonia”, ndr), ormai sotto l’egida delle Nazioni Unite. Gli Stati Uniti esercitano pressione sui due Paesi per trovare una soluzione. È ben noto in effetti il desiderio degli Usa di far aderire l’ex Repubblica jugoslava di Macedonia alla Nato, ma questo non può avvenire se non si trova prima una soluzione sul nome (che i greci considerano “usurpato”, ndr). Sui nomi proposti ci sono reazioni da entrambi i Paesi. In Grecia la maggioranza e la Chiesa reagiscono mentre nella Fyrom si paventa lo scenario di un referendum.

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