Politiche economiche, inizio di una nuova era?

Primi (timidi) segnali di un cambiamento di prospettiva, con un ritorno del ruolo dello Stato, dopo decenni di liberalismo senza freni

In questa estate di fenomeni climatici inediti, tre temi altrettanto inediti sono comparsi nel dibattito e nella realtà italiana: la tassazione degli extra-profitti delle banche, il confronto sul salario minimo e la focalizzazione sulla sanità pubblica come priorità. La scrittrice Agatha Christie, diceva: «Un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova». Certamente saranno i fatti a dirci se siamo davvero alla fine di un’era e all’inizio di un nuovo ordine politico.

L’era da cui proveniamo, il trentennio neoliberista, con la sua fede incondizionata sulle capacità universali del mercato nel governo della società, sembrerebbe essere ai titoli di coda: le crisi finanziaria, pandemica e climatica – e di conseguenza sociale – hanno richiesto infatti un forte ritorno al ruolo e all’intervento dello Stato.

Lo Stato era il protagonista dell’approccio keynesiano, che ha dominato pensiero e prassi di politica economica per gran parte del ‘900, ma si è dimostrato incapace di affrontare la stagflazione, quel fenomeno di stagnazione economica e contemporanea alta inflazione, che abbiamo sperimentato in occidente dalla fine degli anni ’60.

Ragione per cui, anche in modo non esplicito, l’agenda politica, tanto a destra quanto a sinistra, è stata determinata negli anni scorsi dall’approccio neoliberista e si nota una certa ritrosia, almeno nei partiti più rappresentativi, da entrambe le parti, a valutare in modo critico gli esiti del percorso fatto.

La privatizzazione delle banche e della sanità e la liberalizzazione del mercato del lavoro sono stati, infatti, percorsi e prospettive largamente condivise.

Tuttavia, i dati di fatto sono oggi sotto gli occhi di tutti: il paese non cresce, i salari perdono potere d’acquisto, aumentano pesantemente le disuguaglianze, la sanità privatizzata mostra esiti a chiaroscuro.

In questo quadro abbiamo comunque assistito a tentativi di soccorso assistenziale sia alle imprese (soprattutto nel corso del lockdown per il  Covid) che ai cittadini – dal reddito di cittadinanza alle misure di contrasto agli aumenti tariffari dell’energia, alla riduzione del cuneo fiscale – con esiti altrettanto ambigui e ulteriori spazi di intervento  e riordino (basti pensare, in relazione al tema retributivo, alla pletora di contratti di lavoro in essere con livelli molto differenziati di protezione anche all’interno dello stesso settore – es. il pubblico – dove parità di mansione sono previsti ingiustificati differenti livelli di retribuzione che impediscono la mobilità).

La guerra in Ucraina ha certamente aggravato e complicato il quadro, ma altri fattori ci avevano portato a questa situazione. L’apertura frettolosa e sconsiderata ai mercati internazionali ha distrutto interi settori della nostra economia (ad es. il tessile), così come il nuovo assetto geopolitico e il ruolo dei Paesi Asiatici e Arabi ci costringe ora ad una riconfigurazione delle catene di fornitura e delle relazioni commerciali.

L’incompleta architettura europea ha limitato le leve fondamentali di governo dell’economia gli stati membri ,come le politiche di bilancio, il tassi di interesse, il tasso di cambio, la tassazione redistributiva e le politiche industriali (spesso osteggiate come “aiuti di stato”), senza assicurare un’efficace assetto di processi efficaci a livello sovranazionale, così che non solo l’Italia ma l’intera eurozona ha perso competitività rispetto agli Stati Uniti, che nel tempo sono cresciuti il doppio (cfr. Antonella Strati, Lo Stato Neo-Keynesano, Il Mulino 2/23).

I tre temi estivi allora – tassazione degli extra-profitti delle banche, salario minimo e sanità pubblica – non sono così passeggeri, ma pongono in modo diverso una questione di giustizia sociale, fondamento di quel patto sociale che ci tiene insieme. Anche questo dell’equità sociale è un argomento rimosso da tempo, con la diffusione di concezioni meritocratiche che portano ad associare povertà e colpa.

Ma quando poi la realtà supera l’ideologia e sono evidenti le storture del sistema la gente reagisce: le forze politiche probabilmente sentono la pressione degli elettorati, ragione per cui così tassazione degli extra-profitti delle banche, salario minimo e sanità pubblica sono entrati in agenda in modo trasversale.

La tassazione degli extra profitti delle banche, proposta inizialmente dal Movimento Cinque, è stata messa in opera dal governo Meloni. Sul salario minimo si è aperto un tavolo fra maggioranza e opposizione. Il rafforzamento della sanità pubblica aggrega la maggior parte delle forze di opposizione.

Molte scelte – è il caso delle banche – hanno un evidente valore riparativo e andranno valutate attentamente per i possibili contraccolpi, ma le persone, dopo i discutibili salvataggi bancari e con i tassi in continua crescita, aspettavano un segnale di tutela dalla politica. Che è arrivato.

È un inizio. Molti temi altrettanto inediti e importanti, come la transizione ecologica, il lavoro e l’Europa per citarne alcuni, scontano ancora un approccio fortemente ideologico e una ridotta percezione di urgenza, che impediscono di convergere su scelte politiche e sul loro impatto.

Sul tema del lavoro, la questione non si limita ai livelli salariali, ma si apre alla funzione sociale dello stesso, e chiede di decidere se e in quale misura l’inclusione delle persone sia una priorità o se si preferisca l’erogazione di sussidi sostitutivi. Tecnicamente, si tratta di immaginare quale tasso di disoccupazione “di equilibrio” accettare, e chi debba farsi carico di creare l’occupazione che il settore privato non crea.

Per l’Europa, alla quale siamo strettamente legati non solo per i margini di manovra sulle politiche economiche, sta diventando davvero indispensabile completarne l’assetto istituzionale, e l’Italia, quale paese fondatore, non può che essere protagonista e portare il suo contributo.

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