Piranesi, genio romantico

A Roma oltre 200 incisioni del grande incisore e architetto veneziano del ’700. Un mago dell’evocazione scenografica

Non lo giurerei, ma gli sceneggiatori della serie mondiale Il Trono di Spade, le incisioni di Giovanni Battista Piranesi le hanno viste, se non almeno adocchiate. Fantasiose, struggenti, utopiche. Fatte apposta per evocare epoche antiche, nostalgie, sogni e furori. “Capricci”, come dicevano all’epoca, anche delle visioni fantasiose di un artista talentuoso come Giandomenico, figlio del grande Giambattista Tiepolo. Veneziano come loro, Piranesi lascia la città natale nel 1740, le vedute razionalistiche di Canaletto e calde di Bellotto, e come un Guardi romanizzato, s’innamora della Città Eterna. Eterna lo è per lui e per i viaggiatori del Grand Tour.

Piranesi contempla le rovine sull’Appia antica, il Tempio di Giano, le Terme di Tito, la Piramide Cestia, le basiliche e le piazze: visioni in bianco e nero pulite, chiarissime, commosse. Basti osservare il Tempio di Minerva Medica – oggi ostaggio fra i travertini glaciali della Stazione Termini – e che egli esalta tra erbacce e arbusti sulle pietre come un monumento all’eternità della bellezza. La quale, pur oltraggiata dal tempo e dagli uomini, non perde nulla della sua parola.

Piranesi lo sa e viaggia, con la precisione di un matematico artista, quasi un Mantegna redivivo, ad evocare per noi gli interni delle basiliche e dei templi antichi, le cascate a Tivoli, il Pantheon, il Mausoleo di Galla Placidia. Scende anche al Sud, a Paestum, ad esempio. Non gli basta. Fa sfolgorare la fantasia nella serie delle Carceri d’invenzione.

Sta qui il lato più romantico del veneziano. Scale, piloni, arcate, ponti levatoi, altorilievi, funi, porte, ruote e prigionieri. Ma che mondo è questo? Al di là della calibratissima misura architettonica che nulla lascia al caso, Piranesi inventa un mondo magico sospeso tra finzione e realtà, desiderio e utopia, passato e futuro.

Sogna, lascia esprimere la fantasia, ma la tiene allo stesso tempo molto stretta. Così si spiega l’unica opera architettonica lasciata compiuta, cioè la sede del Cavalieri di Malta sull’Aventino.

Bisogna osservarla dal basso, dalle sponde del Tevere, per rendersi conto di questa visione di un mondo perfetto – dentro e fuori – in cui la candida bellezza già di Canova, specie alla sera o all’aurora, quasi fossimo in una tela del Giorgione, si esalta nel rosa di Roma. Piranesi, che qui muore a 58 anni nel 1778, unifica due mondi di bellezza in uno stile leggero, romantico e classico. È poesia, già di Goethe e di Foscolo. Ma è soprattutto il respiro di secoli di arte veneziana e veneta che si è unificato con l’anima classica, dandole una dilatazione che lascia libere la fantasia e la storia per quelli che verranno dopo, cioè noi.

 

Piranesi. La fabbrica dell’utopia. Roma, Palazzo Braschi, fino al 15/10 (cat. De Luca edizioni d’arte).

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