Pillole di buona sanità

Un giorno festivo, (2 giugno), ultimo di un ponte; un elegante hotel di Mestre; 570 professionisti del mondo sanitario. Non è uno di quei convegni- spreco a ragione criticati anche di recente. Si parla di “Valori e prospettive del malato cronico e terminale nel pianeta sanità”. Nel titolo un programma. Organizzato dall’associazione culturale Medicina Dialogo Comunione e dall’associazione Uomo Mondo Onlus all’interno dell’azienda sanitaria Ulss 12 veneziana, rappresentava una sfida per gli stessi organizzatori – come mi racconta una di loro, Valentina Macaccaro -, tra l’altro, si sono visti concedere dal ministero della Sanità ben tre crediti formativi per quelli che vi avrebbero partecipato: medici, infermieri, fisioterapisti, psicologi, assistenti sociali, volontari” Interventi di alto contenuto scientifico si sono alternati alle testimonianze di chi sperimenta quotidianamente sulla propria pelle la malattia cronica ed anche allo stadio avanzato. L’incontro tra la teoria e la pratica, diceva qualcuno, in una efficace sintesi di reciprocità. La vita. Valore e fondamento della società, passando dalla prospettiva antropologica. nell’evoluzione del pensiero medico. La morte. Ripercorsa nella storia e nel rapporto con il paziente neoplastico in fase avanzata di malattia visto non come oggetto ma come soggetto di cura. Il contributo dell’ambiente alla qualità della vita. Temi non facili, difficili anzi, sui quali si stenta spesso a trovare argomentazioni adeguate, risposte pronte. Si fa strada la consapevolezza che del malato va presa in considerazione non solo la dimensione fisica ma anche quella spirituale, psicologica, sociale. Se è vero infatti, come affermava la dott.ssa Caretta che “non è solo il fisico ciò che nell’uomo si ammala: è l’uomo tutto intero che soffre nella malattia, che cerca la guarigione, e insieme si interroga sul significato della malattia nell’ambito della sua esistenza” ne deriva che la malattia non è un episodio da vivere in isolamento. Così come la morte anche se, secondo quanto detto dal prof. Petrini, “l’evoluzione antropologico-culturale nei confronti della morte e del morire, che riscontriamo nella società contemporanea, ha accentuato la solitudine del morente: mai come oggi i morenti sono stati posti dietro le quinte della vita sociale, per sottrarli alla vista dei vivi”. Impossibile riassumere anche brevemente gli interessanti spunti emersi nel corso della giornata. Anche perché il convegno non è finito. Nel senso che i partecipanti hanno ripetutamente chiesto e proposto di continuare il confronto iniziato. Qualcuno diceva: “Mi ha aiutato a rimettere a fuoco la vocazione della mia professione e a mettere al posto giusto ogni uomo”. Tanto per cominciare”

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