Come e perché si entra in conflitto

Un'analisi della natura e delle cause di un'aggressione a tutti i livelli sociali, dalla politica allo sport, al razzismo

Uno dei contributi più utili dell’analisi storica riguarda i modelli di comportamento sociale che in passato hanno dato risultati positivi nella gestione dei conflitti. Questo scritto vuole analizzare quello dell’integrazione di successo come alternativa e superamento della competizione per le risorse che determinano migliori condizioni di vita.

L’evenienza che due o più gruppi sociali entrino in competizione è assai frequente in ogni epoca storica e a qualunque latitudine ed è caratterizzata da alcuni elementi:

  • La pressione di un gruppo sociale verso un altro, del quale il primo desidera condividere le condizioni di vita;
  • Una significativa differenza di tali condizioni, o la presenza di uno o più fattori di benessere dai quali solo un gruppo è del tutto escluso (o ne ha un accesso molto limitato);
  • La possibilità di esercitare reciprocamente azioni di forza, di varia tipologia e natura;
  • La possibilità di una chiara differenziazione, reciprocamente e immediatamente percepibile, fra gli appartenenti dei due gruppi.

La pressione sociale può assumere una molteplicità di caratteristiche: politica, militare, economica, geografica, tecnologica, culturale, legislativa… in pratica qualunque azione messa in atto da un gruppo per accedere alle risorse che gli mancano, e che sono percepite come la chiave della disparità verso un altro gruppo.

Anche le risorse le quali si entra in competizione possono essere le più disparate, non soltanto materiali (come acqua e cibo); la conflittualità fra i gruppi sarà tanto più forte quanto più grande è la differenza di benessere che ne risulta.

Riguardo alla forza, va ricordato che non sempre la coercizione richiede mezzi cruenti, purché esista un contesto sociale dove vige uno stato di diritto, deterrente all’uso indiscriminato della violenza per la risoluzione dei conflitti (anche se non è mai completamente efficace). Qualunque forma assuma, l’uso della forza può essere unilaterale o reciproco; in un primo caso si può parlare di aggressione o, nel caso sia il gruppo avvantaggiato a farne uso, di discriminazione (la forza è applicata per impedire attivamente agli altri di accedere alla risorsa che fa la differenza nel determinare la disparità di condizioni di vita). Quando invece la forza è applicata reciprocamente, si usa parlare di “conflitto”.

Da notare anche l’uso, frequente ma molto spesso improprio, della parole “invasione”: questo fenomeno è possibile soltanto quando chi aggredisce ha i mezzi necessari per prendere il controllo delle risorse di chi è aggredito.

Infine, le differenze che permettono la distinzione fra i gruppi sociali assumono ogni tipo di caratteristica riconoscibile: idee politiche, passione per una squadra di calcio, colore della pelle. Altrettanto sono quelle peculiarità create appositamente per distinguerli, come i simboli o gli slogan di un partito, o i colori di una squadra o di una nazione.

Il fattore che differenzia i due contendenti che, in molti casi, finisce per far passare in secondo piano la vera origine del contenzioso, come accade per il colore della pelle o l’appartenenza ad un’etnia, che possono apparire come la causa della conflittualità, polarizzando la discussione e l’attenzione, quando invece alla base di tutto vi è una competizione per il possesso di risorse che condizionano lo stile di vita o la sicurezza degli individui.

Qualunque sia la causa che ha generato la pressione di un gruppo verso l’altro e le circostanze nelle quali si evolve la competizione, è possibile essere sicuri di una cosa: una volta che il contrasto si sarà risolto, le caratterizzazioni esteriori che distinguono e oppongono i due gruppi diverranno rapidamente irrilevanti e, con il tempo, finiranno per perdere ogni importanza.

In un secondo contributo su questo argomento, analizzeremo il modello dell’integrazione di successo.

qui seconda parte dell’articolo

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