Perchè una regola di vita?

Viviamo oggi in una società frenetica, dominata dal virtuale, dalla ricerca dell’evasione e della distrazione. Ha senso oggi parlare di una “regola di vita”? La riflessione della badessa benedettina Maria Ignazia Angelini, autrice di “A regola d’arte”, edito da Città Nuova.

Che senso ha parlare di “regola di vita” quando – se teniamo il cuore in ascolto – ci rendiamo conto di quel che accade attorno a noi, in quest’ora così severa, inquietante e frantumata della storia umana? In tale stretta così insensatamente devastante, perché aprire un tema così inusuale?

Ho scelto di vivere come monaca «sotto una regola», come san Benedetto chiede ai monaci cenobiti, e perciò, in un certo senso, “gioco in casa”, ma, sotto la mia forma di vita “regolare”, sono tuttavia in una situazione di pura “marginalità”, sia dal punto di vista dello sguardo comune, che dal punto di vista della luce di verità del Vangelo.

In realtà, ritengo che la scelta monastica – come lo stesso Benedetto da Norcia verosimilmente pensava quando ha iniziato questa forma di vita –, nella Chiesa e per la Chiesa, evidenzi il segreto che riguarda il cristiano come tale, il battezzato, il quale assume pienamente nella storia la propria responsabilità: essere discepolo di Gesù, sulla sua stessa via di incarnazione. Prima di essere missione, il legame con Gesù dà forma alla cura dell’anima, alla propria interiorità, a una regola di vita.

È un’evidenza che oggi deve più che mai aprirsi la strada, trovandoci, tutti noi, in mezzo a una cultura del tutto estranea. Una regola di vita è infatti un genere assolutamente desueto nell’epoca dominata dall’imporsi del virtuale, l’epoca cosiddetta “post”: post-moderna, post-cristiana, post-religiosa, post-industriale, post-ideologica… Siamo post-tutto (oggi si parla addirittura del post-umano, con la cyber-technology e l’elaborazione della catena del DNA) e ci riteniamo ormai avveduti e pertanto emancipati da regole. Tuttavia, abbiamo ancora aperte domande radicali: dopo tutti questi oltrepassamenti, che cosa c’è? Non temiamo l’orizzonte assolutamente aperto e indeterminato dell’uomo – come diceva Musil – «senza qualità»? Nonostante tutto e attraverso tutto, vogliamo cercare una possibilità per l’uomo contemporaneo, che con la sua stessa indeterminatezza sollecita la libertà, e per noi stessi, di scoprire una misura, un ritmo, uno stile – un senso.

L’epoca moderna poneva l’uomo al centro dell’universo e ne indicava una conseguente paideia, l’arte di far maturare il soggetto come ragione sovrana e alimentatrice di inarrestabile progresso; nella contemporaneità, invece, ci troviamo a muoverci in una cultura profondamente segnata da molteplici oltrepassamenti e dalla conseguente liquidità del soggetto; sappiamo come, anche per l’espressione massima della cultura decostruzionista – cioè di quelle filosofie che intendono l’uomo non più come centro ma come una regione a sé, buttata in un orizzonte di complessità irriducibile –, l’uomo, non essendo più al centro, rischia di ridursi a una passione inutile.

Ebbene, la sapienza monastica – pure nata in epoca di crisi di civiltà – sostiene la bellezza di una strada di umanizzazione fondata sull’invenzione di una misura, di una regola, di un passo, di uno stile, di un metodo: un’arte di vivere, a partire dalla custodia del cuore, dalla cura della propria interiorità. Non è forse nata, la cultura europea, dai monasteri dell’Alto Medioevo?

Vorrei subito sgombrare il campo da un equivoco: la regola non è una stampella per persone fragili o n comodo prontuario tecnico per persone che non hanno tempo da perdere, così che la mattina non devono fare alcun programma perché tutto è già regolato. San Benedetto dice che vivere secondo una regola, sotto e insieme a un abate, è propriamente un orizzonte dinamico, un inizio, ogni giorno rinnovato, per maturare in bellezza la vicenda della propria esistenza, avendo la percezione di una partenza, di punti di riferimento, di un senso – in un’avventura che di per sé è spericolata, imprevedibile. L’avventura di credere, a partire dal cuore e dentro una storia concreta in cui Dio parla.

[…]

Viviamo, oggi, nella cultura – se così si può dire – del “divertimento” sempre e comunque, della distrazione, dell’evasione: cosa ben diversa dall’ironia e dal gioco. Ancor più, è diffusa la logica cosiddetta dello “sballo”, cioè la possibilità di assentarsi, di darsi un tempo in cui non rendere conto a nessuno di quello che si fa di sé; una logica totalmente avulsa dalla prospettiva della fede, che è: accettarsi e comprendersi come domanda fondamentale, domanda lanciata non nel vuoto ma ad altri e posta a un Tu che in principio ci ha fatto esistere, ci ha pensato secondo un disegno d’amore, e non ci perde mai.

 

Da A REGOLA D’ARTE. Appunti per un cammino spirituale di Maria Ignazia Angelini, pagg. 160, € 15,00 (Città Nuova, 2017)

 

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