Perché occuparsi di tubercolosi

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Quasi contemporaneamente il nostro ministero della Salute ed il papa Benedetto XVI hanno lanciato un appello per mettere in primo piano la recrudescenza di questa malattia che tante vittime ha fatto prima dell’avvento degli antibiotici. Infatti, i dati sulla diffusione della tubercolosi oggi sono ancor più drammatici rispetto ai 9 milioni di nuovi casi di Tbc e 2 milioni di decessi che si verificano nel mondo (Who, Report 2006). La frequenza della tubercolosi cresce a causa del suo rapido incremento in Africa, ma l’insorgenza dei nuovi casi interessa, seppur in percentuali molto diverse, l’Asia, il Pacifico occidentale, il Mediterraneo orientale, le Americhe ed anche l’Europa. Un problema globale dunque, sul quale la voce autorevole del pontefice non poteva mancare. Lo stato della tubercolosi in Italia oggi è caratterizzato da una bassa incidenza nella popolazione generale, con 4387 casi registrati tra italiani e stranieri. Verrebbe spontaneo allora chiedersi perché l’allarme del nostro ministero della Salute. La spiegazione ci viene dal fatto che il processo di globalizzazione in corso non è soltanto l’economia, la competizione, la sfida dell’innovazione. Come l’indiana Tata, partner industriale della nostra Fiat, si prepara ad invadere il mercato con un’auto economica ed acquista dalla Ford americana i marchi prestigiosi della Jaguar e del Land Rover, così il disagio economico- sanitario dei Paesi più poveri si trasferisce inevitabilmente anche su quelli più ricchi, che, dal canto loro, hanno necessità di mano d’opera per lavori umili (badanti, manovali, muratori ecc.). Per comprendere meglio ciò basta analizzare le cause di questa nuova impennata della tubercolosi. Da sempre importante problema di salute pubblica nei Paesi in via di sviluppo, con l’immigra zione nei Paesi industrializzati come l’Italia, negli ultimi anni si è assistito ad una sua recrudescenza le cui cause sono riconducibili a vari fattori: la presenza di un elevato numero di soggetti appartenenti a gruppi ad alto rischio di infezione, la scarsa protezione che offre l’attuale vaccino, i flussi migratori da Paesi ad alta endemia, la diffusione di ceppi multiresistenti, la frequente compresenza di Aids o altre cause di immunodepressione (persone affette da malattie tumorali in trattamento chemioterapico e/o cortisonico, anziani portatori di malattie croniche) e non ultima la comparsa di nuove povertà. Dopo la vittoria su questa malattia, avvenuta grazie agli antibiotici ed al benessere economico, si è osservata una regressione del sistema di sorveglianza antitubercolare sul territorio nazionale con la conseguente diminuzione della sensibilità epidemiologica, diagnostica e preventiva come dimostrato da ritardi nella diagnosi e dalla scarsa propensione alla notifica dei nuovi casi di malattia. La conoscenza delle nuove problematiche legate all’infezione tubercolare è condizione imprescindibile per un buon controllo della malattia in tutta la popolazione, e in particolare nei soggetti a rischio. Ecco perché, giustamente, per arrestare la diffusione della malattia il nostro ministero ha ritenuto necessario chiedere alle regioni che hanno competenza giuridica ed economica sulle strutture sanitarie, efficaci programmi di prevenzione e di controllo dell’infezione e dei malati, ma soprattutto di un adeguato sistema di procedure di diagnosi clinica e di laboratorio. Speriamo che il rapporto Stato-regioni divenga tale da fare in modo che l’appello non rimanga lettera morta, nelle pieghe di bilanci sempre insufficienti, di una burocrazia elefantiasica e di una politica non sempre attenta alla sua oculata gestione. Un bel problema che le istituzioni dovranno affrontare in un clima sereno che ponga in primo piano l’interesse dei cittadini italiani e stranieri.

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