Perché andrò a votare il 26 maggio

Le ragioni di una scelta decisiva perché l’Europa ritrovi se stessa. Contributi al dibattito su cittanuova.it in vista delle elezioni europee

Andrò a votare per il Parlamento che rappresenterà i popoli dell’Europa. E andrò con convinzione, con risolutezza. Voterò anche per chi dice che l’Europa odia se stessa, per chi afferma che l’Europa non crede più in nulla, per chi crede che l’Europa sia stretta tra nichilismo e Islam, per chi sostiene che l’Europa stia vivendo i suoi ultimi giorni, per chi asserisce che si suicidi e sia alla fine, per chi sostiene che sia in crisi.

No, l’Europa non è in crisi, agonizza, ma non può morire. È in travaglio perché, se gli europei lo vorranno, potrà dare alla luce una nuova creatura: l’Europa dello Spirito, l’Europa del lavoro e della cultura, l’Europa dell’autentica solidarietà fondata sulla prosperità, l’Europa basata sulla pace e sulla centralità dell’uomo. «L’Europa – scrive la celebre filosofa ed educatrice spagnola Marìa Zambrano – è forse l’unica cosa che può resuscitare. Questo principio di resurrezione sarà anche quello della sua vita e della sua transitoria vita».

Sì, andrò a votare perché l’Europa ritrovi se stessa nello Spirito. I momenti di rinascita impegnano energie nuove e una nuova primavera: per questo dimenticherò le zuffe tutte europee tra sovranisti e cosmopoliti, tra destra e sinistra, tra centro e ali estreme, tra europeisti ed euroscettici. Guarderò in Alto e chiederò a chi guida la storia di dare a tutti il dono del discernimento, della sapienza e della prudenza capace di smuovere i cuori induriti dal rancore e di illuminare le menti ottenebrate dalle menzogne. Solo l’Europa dello Spirito fondata sull’unità, nata nella concordia simile a quella che legavano le 12 tribù d’Israele, guidate dai profeti, resa più sublime dalle Beatitudini del Vangelo, potrà diffondere tra i popoli l’amicizia, condizione essenziale per ogni convivenza civile, e la fratellanza, capace di azzerare l’individualismo anarchico di chi cerca di proteggere il proprio interesse personale.

Sì, andrò a votare perché l’Europa sappia guardare oltre l’economia, quella che sa coniugare sviluppo e moralità.  Il proposito di un’Europa armonizzata nelle sue economie doveva essere solo il primo momento del grande disegno di creare un’entità politica, una via di promozione umana, un progetto di vita, una profilassi contro i tentativi di rigurgiti nazionalistici. Da due decenni assistiamo, al contrario, a una politica economica europea schiacciata tra il fanatismo di un mercato esorbitante sostenuto da una finanza selvaggia e il troppo invocato intervento pubblico o, al contrario, da un neoliberismo al servizio non dei popoli, ma della grande finanza. Statalismo e liberismo si configurano come un grande attacco alle popolazioni più bisognose, come diseguaglianza, che a sua volta ha creato “scarti” tra i più indifesi, come incremento del benessere per pochi, calo nella qualità della vita, danno del creato, rischio per l’esaurimento e la devastazione delle risorse planetarie. A questa economia, che è contro l’uomo, vorrei si sostituisse un’economia più solidale fondata e finalizzata sulla persona umana che vive in comunione con gli altri.

Sì, andrò a votare perché non vorrei che lo stretto rigore, l’osservanza quasi maniacale del pareggio dei conti diventassero un idolo che ammala la mente dell’uomo, che lo rende alienato, che lo avvicina perfino alla corruzione.

Ad alcuni anni di distanza dalla caduta del muro di Berlino e dalla dissoluzione dell’impero sovietico, l’Europa è nuovamente divisa non solo da steccati, ma da economie discordanti: da una parte i Paesi con economie relativamente stabili e, dall’altra, da Paesi con economie deboli, con sistemi precari portatori di povertà e, conseguentemente, di populismi.

Nel rispetto dei trattati, tutti dovranno impegnarsi maggiormente per creare un’Europa più solidale, assetata di fiducia e di giustizia. Tutti i governi dovranno sforzarsi per coniugare il rigore con la crescita, l’economia con l’etica e i popoli rinnovare il loro stile di vita sviluppando sobrietà e acquisendo maggiore attenzione verso i più bisognosi.

Sì, andrò a votare per ravvivare le radici culturali e spirituali dell’Europa: l’umanesimo cristiano che vede l’uomo nella sua integralità, capace di misurare e di auto-misurarsi, di discernere e di non appiattirsi sulle idee altrui; l’illuminismo che ha proposto laicamente il valore della libertà, che diventa sempre più  gracile e inquinata in tutto l’Occidente; quello della fratellanza nata dal Vangelo, ma che oggi vede l’altro, specie se diverso, con sospetto, come un nemico; quello dell’uguaglianza che ci porta ad essere tutti portatori degli stessi diritti, ma non di desideri.

Sì, andrò a votare per rinnovare e rafforzare le istituzioni europee che sembrano lontane dai popoli, quasi un corpo senza anima, perché talvolta non animate dallo spirito europeo fondato sulla concezione cristiana della libertà e della dignità umana. Vorrei che esse assumessero un assetto davvero sovra-nazionale che superassero la classica logica internazionale di rapporti tra popoli e governi, i quali inevitabilmente tendono a perseguire i loro interessi particolari. E ai nuovi eletti chiedo di essere forti non solo per non lasciarsi modificare dalla contrarietà, ma di rimanere saldi, fermi nell’attesa di tempi nuovi.

Sì, andrò a votare col pensiero rivolto a chi ha pensato all’Europa unita, ai credenti come Adenauer, De Gasperi, Schuman, van den Zeland, come ai non credenti Altiero Spinelli, Jean Monnet, Paul-Henry Spaak, dalla coscienza retta e desiderosi di associarsi a chi li divideva da una cultura politica diversa dalla loro, ma li univa la volontà di costruire la più grande idea politica del secolo XX. E con loro penserò a tutti quegli eroi noti e sconosciuti che nella lotta per la libertà hanno dato la loro vita, come pure alle madri fondatrici che, durante il periodo buio delle dittature, hanno portato nel loro grembo il germe della fiducia: penserò a Edith Stein, a Simone Weil, a Etty Hillesum, a Hannah Arendt. Penserò a costoro perché chi non ricorda non vive.

Sì, andrò a votare perché devo a loro se l’Europa ha vissuto il più lungo periodo di pace della sua storia. La pace in questo tempo sembra essere data per scontata, mentre si compiono genocidi in nome di ideologie, mentre le fertili rive del Mediterraneo sono cosparse di sangue a causa delle guerre che ci richiamano l’instabilità democratica di molti Paesi, mentre la fame e la miseria di molti Paesi dell’Africa chiedono alla mia coscienza di prestare loro aiuto. La pace è un bene prezioso che non cancella le diversità, ma le difende e invita a vivere nella solidarietà il rapporto con gli altri.

Sì, andrò a votare con la speranza nel cuore, con «la piccola speranza che si leva tutte le mattine», come scrive Charles Péguy, perché senza speranza c’è solo la disperazione.

L’Autore, dopo aver insegnato per 32 anni presso le Scuole Europee in Italia e all’estero, si dedica ora all’educazione alla coscienza europea tenendo incontri nelle scuole e pubblicando articoli sull’educazione alla cittadinanza europea. È biografo di Robert Schuman, uno dei padri fondatori dell’Europa, di cui ha tradotto in italiano il saggio “Per l’Europa”. E’ membro dell’Istituto San Benedetto, postulante la causa di beatificazione del servo di Dio Robert Schuman. Gli è stata conferita la “medaglia d’oro 2018 al merito europeo”, che ogni anno viene attribuita a coloro che si sono distinti per l’impegno nei confronti dell’Unione

Leggi anche La necessità di un’Europa diversa di Luciano Sulis

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