Pensare, sentire, fare

La pedagogia (per tutti) di papa Francesco. Da Milano gesti e parole all'insegna dell'autenticità
Una sola giornata a Milano, dalla mattina alla sera. Eppure ci vorrebbe una settimana per raccontarla. Una giornata cruciale per capire meglio “il metodo Francesco” e la sua intuizione di quello che sarà la Chiesa.   Una giornata che si può sintetizzare con tre verbi: pensare, sentire, fare. Francesco è il più grande comunicatore del nostro tempo non perché parla bene ma perché pensa quello che dice e dice quello che pensa, sente quello che pensa, fa quello che dice e dice quello che fa. Sembra un gioco di parole, ma è l’unica autenticità che appaga il nostro cuore inquieto, di credenti e non credenti, di giovani e di anziani, di liberi e di prigionieri.   Ce lo ha spiegato Francesco stesso, parlando nel pomeriggio a 80.000 ragazzi, tra i 10 e i 12 anni, riuniti allo Stadio di San Siro. L’ha raccontato a loro, perché sa che se capiscono i bambini capiscono tutti. Crescere significa imparare a pensare con la testa, a sentire con il cuore e a fare con le mani. Non si può educare il solo intelletto. Le tre dimensioni dell’umano vanno coltivate insieme. Ma non basta. Bisogna educare i ragazzi a pensare quello che sentono e fanno, e a sentire quello che pensano e fanno, e a fare ciò che pensano e sentono. Ascoltarlo parlare ai ragazzi è un’esperienza assolutamente stupefacente. Il suo messaggio non ha nulla di difficile, viene compreso dai ragazzi a cui dice che per andare dietro a Gesù servono tre cose: parlare con i nonni, giocare con gli amici, andare all’oratorio. I ragazzi si sentono dire dal papa che i cristiani giocano a palla, chiedono scusa quando litigano, si confidano con i nonni, vanno all’oratorio per divertirsi, dicono buonanotte a Gesù prima di dormire, si impegnano contro il bullismo, difendono i più deboli. Il papa parla senza mediazioni, in modo diretto e autorevole, usa l’ironia e la leggerezza, li coinvolge, li sprona, li interroga e sollecita. Parla alla loro intelligenza ma comunica al loro cuore, li stimola a pensare ma anche ad agire. E soprattutto convince perché parla con il cuore, e parla della sua esperienza diretta. In lui non vi è distinzione tra pensare e sentire. Quanti saggi dicono belle parole ma non le mettono in pratica, parlano di felicità e sono tristi, di reciprocità e sono individualisti. Quanti teorizzano ma non mettono in pratica. Quanti agiscono e ripetono gesti… ma non pensano!   Francesco non parla di povertà ma entra a Milano e si fa ospite in uno dei quartieri più periferici, entra nelle case, si fa ultimo con gli ultimi, perché “dire è fare”. Francesco si dà in pasto alla gente, si lascia fotografare, avvicinare, conforta e ascolta, commuove e muove al cambiamento. Non ci ricorda le opere di misericordia con inutili parole, le mette in pratica, saluta personalmente quasi tutti i reclusi di San Vittore, mangia con almeno cento di loro, uomo tra gli uomini, e commuove e converte. Si fa carcerato. Pensare, sentire, agire coincidono. “Con voi mi sento a casa”, dice ai carcerati. Lo dice a parole, ma il suo volto non mente. Guarda negli occhi, accarezza, abbraccia, si commuove, scherza.   In Duomo parla ai consacrati e lo fa fuori da ogni protocollo. Discernimento, cuore, azione. Gli ingredienti sono sempre quelli. Anche per i vecchi saggi, per chi ha dato tutta la vita a Dio e talvolta ha lasciato per strada la gioia, o l’agire, o il senso critico. “Siamo pochi? Sì, siamo pochi. Siamo anziani? Sì, siamo anziani. Siamo rassegnati? Mai”. La chiesa è gremita di ordini religiosi affaticati e forse anacronistici, sopravvissuti di una Chiesa che ha ormai sempre meno vocazioni. Francesco non indulge nella lamentela. C’è sempre modo di essere attori del cambiamento, finché ci sarà qualcuno a crederci. Indica il valore di essere minoranza, il valore della minorità. Quante cose possono rinascere quando si sa di essere poveri e pochi, ma non rassegnati.   A Monza arrivano per la Messa più di un milione di persone. Arrivano con ogni mezzo immaginabile, non sono certo tutti fedeli della domenica, molti vanno per ascoltarlo. E’ un popolo che ha voglia di capire, di sentire, di fare. Parla della possibilità dell’impossibile: “Dio stesso è colui che prende l’iniziativa e sceglie di inserirsi, come ha fatto con Maria, nelle nostre case, nelle nostre lotte quotidiane, colme di ansie e insieme di desideri. Ed è proprio all’interno delle nostre città, delle nostre scuole e università, delle piazze e degli ospedali che si compie l’annuncio più bello che possiamo ascoltare: Rallegrati, il Signore è con te”. Lo dice e intanto lo sta facendo. E la sua testimonianza diventa credibile per molti, anche lontani.   Francesco evita ogni inutile cerimoniale, le passerelle politiche, gli incontri privilegiati. Dice con i fatti che il povero vale come il politico, il carcerato come il padre di famiglia, il bambino come il sacerdote, il fedele di un’altra religione come il più santo dei sacerdoti. Lo dice con mille piccole e rivoluzionarie scelte. Si mescola tra la gente, condivide il destino dei più deboli, si prende cura dei piccoli e, mentre lo fa, ci ricorda che ciascuno di noi può farlo. Con la testa, il cuore, le mani.    

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