Beccegato: la Caritas promuove la pedagogia della carità

Nata per promuovere la testimonianza della carità in vista dello sviluppo integrale dell’uomo, la Caritas da sempre cammina accanto ai poveri del mondo. Abbiamo intervistato Paolo Beccegato, vice direttore della Caritas italiana, che sta partecipando alla XXI Assemblea di Caritas Internationalis.

Nell’Assemblea sono state indicate cinque linee guida per i prossimi quattro anni. Come Caritas italiana, come le attuerete?
Le linee di Caritas internationalis rispecchiano appieno le linee di Caritas italiana. La prima linea guida è riflettere su come essere a servizio della Chiesa, mettere i poveri al centro, collaborare con altre realtà ecclesiali per promuovere la comunione nella Chiesa e collaborare con realtà a livello ecumenico e interreligioso per dare un messaggio di collaborazione e di non contrapposizione tra fedi. Questo fa parte del nostro modo di lavorare e lo rafforzeremo sempre più.

La seconda linea è relativa al lavoro concreto per i poveri. Caritas internationalis agisce soprattutto sul piano delle emergenze. Per Caritas italiana c’è il lavoro della lotta alla povertà, di interventi concreti nel sociale anche a prescindere dalle emergenze, c’è quello che facciamo nell’ordinarietà: centri di ascolto, le opere con altre realtà ecclesiali. Su questo punto: sempre più efficacia, capacità innovativa per le nuove forme di povertà, puntando allo sviluppo umano integrale.

La terza linea è quella della carità che si fa giustizia, advocacy per i poveri, proposta alle istituzioni perché vengano garantiti i diritti. Caritas internationalis mette al centro i temi ambientali: “Una famiglia umana, una sola Casa Comune” sull’onda della Laudato si’, non trascurando la lotta alla fame, le diseguaglianze crescenti nel mondo, i conflitti con tutte le loro conseguenze, il tema dei migranti.

La quarta, che come Caritas italiana è la prima, la chiamerei pedagogia della carità. Cercare di educare le persone alla carità, alla solidarietà, ai valori profondi ma anche comunicare bene, l’uso dei social per usare il linguaggio dei giovani, per coinvolgerli sempre di più nelle nostre attività: una carità che si fa educante.

La quinta è il rafforzamento della Caritas stessa, della struttura interna, rafforzare le Caritas che sono più in difficoltà, dove la Chiesa è in minoranza oppure in situazioni di persecuzione dei cristiani. C’è un’attenzione particolare perché nessuno resti abbandonato.

Come educare alla carità oggi?
In Italia e in Europa c’è un uso del linguaggio, in particolare attraverso i social, che è una narrativa sul tema migranti – ma anche sulle minoranze e altre questioni – che sembra mettere all’angolo chi si occupa dei poveri. È l’accusa di ‘buonismo’, l’eccesso di bontà che non fa i conti con il realismo, ad esempio con la capacità di accoglienza di un Paese. Addirittura c’è l’accusa di lucrare sui poveri, di avere secondi fini economici per accaparrarsi risorse pubbliche. Questo linguaggio rischia di condizionare le coscienze e di rendere più difficile la nostra attività educativa. È un elemento che dobbiamo affrontare perché in Italia c’è il rischio di una guerra tra poveri. Spesso bisogna partire smontando pregiudizi, falsi miti. Poi però, andando alle coscienze delle persone, c’è tanta solidarietà.

Chi sono gli italiani che si rivolgono alla Caritas?
In questi 10 anni molte persone della fascia media sono cadute in povertà assoluta quindi oltre ai volti noti che si incontravano – i senza fissa dimora, tutte le fasce note – adesso ci sono molte altre persone. C’è stato un crescere della povertà anche al nord. Circa un terzo dei poveri sono persone immigrate, due terzi sono italiane. Gli immigrati risentono di più della crisi, sono circa il 10% della popolazione ma sono circa il 33% dei poveri. C’è stato uno scivolare della povertà dalle fasce di età medio alte alle fasce basse o medio basse, in particolare le famiglie numerose. È cresciuta la povertà minorile, di famiglie con minori, anche al nord Italia. L’anno scorso abbiamo fatto il nostro rapporto incentrato sulla povertà educativa. La tesi finale è che c’è una sorta di intergenerazionalità della povertà educativa. Ci sono famiglie dove i genitori hanno studiato poco, hanno un lavoro pagato poco e hanno un salario così basso che devono ‘stringere la cinghia’, soprattutto se è l’unico salario della famiglia.

Questi 10 anni sono caratterizzati anche dalla povertà abitativa perché le famiglie, se non sono proprietarie della casa, si trovano in difficoltà per le bollette. Tentiamo di insistere molto sul tema educativo, oltre a rispondere ai bisogni immediati. Un altro fenomeno crescente è quello dei padri soli. Quando si spezzano le famiglie spesso il padre, per mantenere moglie e figli, abita in camper o per strada o dorme nei luoghi di lavoro. C’è poi il fenomeno delle imprese che hanno chiuso dopo il 2011-2012. Lì c’è stato un crollo psicologico dei piccoli imprenditori che, tolti quelli che si sono suicidati, ci hanno chiesto aiuti, anche psicologici, per il forte indebitamento. Stiamo anche collaborando con organizzazioni anti usura per far fronte a questi fenomeni nuovi.

Un progetto Caritas che le sta particolarmente a cuore?
Uno, di carattere pedagogico, è una collana per raccontare la povertà del nostro Paese. Il primo testo è sul fenomeno dei giovani che non studiano e non lavorano, siamo il primo paese in Europa. Il secondo è il tema del carcere: c’è il sovraffollamento, il problema dei suicidi, però ci sono storie di successo, per dire che si può riuscire. Il terzo è sui falsi miti; il quarto sulla povertà educativa: storie di famiglie con questo problema e qualche intervento positivo. Il prossimo testo sarà sul disagio abitativo, per fare vedere come si deve affrontare il problema. Questo risponde a ciò che dice l’art. 1 del nostro Statuto che parla di prevalente funzione pedagogica della Caritas, quindi non solo aiuti concreti per i poveri, ma promuovere una cultura e una pedagogia della carità.

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