Patriarca: Il Terzo settore come riforma costituzionale

Intervista a Edoardo Patriarca, uno dei grandi sostenitori della legge delega al governo approvata in via definitiva dal Parlamento. La visione di società proposta e l’impatto sul mondo del lavoro
volontariato

La Camera ha approvato in via definitiva la legge di delega al governo Renzi di Riforma del Terzo settore. Uno dei grandi sostenitori di questo percorso legislativo è stato Edoardo Patriarca, parlamentare del Partito democratico e presidente del Centro Nazionale per il Volontariato. Nella sua dichiarazione di voto ha parlato di un testo che ha «il valore di una vera e propria riforma costituzionale» perché «riconosce il valore strategico che assume oggi il Terzo settore nella vita del Paese: nel sociale, nello sport, nel culturale, ambientale e non da ultimo anche economico». Tra gli aspetti positivi, da verificare tramite i decreti di attuazione governativi, troviamo, secondo il deputato già presidente del forum del Terzo settore, «una nuova cornice fiscale, una nuova alleanza con le istituzioni, trasparenza, uso corretto delle risorse e l’esperienza del servizio civile possibile ora per 100 mila giovani». Abbiamo rivolto alcune domande a Patriarca per approfondire il significato di questo “Civil Act” come lo chiama il ministro del Lavoro Poletti, considerando gli effetti diretti sull’occupazione non solo giovanile.

 

Quale è la nota distintiva e originale di questa Riforma?  Di quale cultura è espressione?

«Nella dichiarazione finale alla Camera ho parlato provocatoriamente di una legge che conteneva un tratto di rilevanza costituzionale perché ridisegnava, sotto il segno della sussidiarietà positiva, la struttura della società civile. Il testo propone la revisione del primo libro del codice civile, propone   procedure meno burocratiche per coltivare la capacità ancora forte tra gli italiani ad auto organizzarsi. In fondo, il testo ripropone una visione alta della Repubblica, “res publica”, che non corrisponde al solo Stato, alle sue articolazioni ma ingloba i cittadini, le comunità, le associazioni, le imprese. La legge si fonda su   una antropologia positiva, mette al centro la fiducia, l’onestà di milioni di cittadini impegnati nel volontariato, non utilizza la “cifra del sospetto” che vede solo corrotti e ladri da contrastare in tutti i modi possibili. Punta sulle virtù senza concedere alcunché a coloro che utilizzano i valori della solidarietà per scopi personali, per rubare, per il malaffare indecente che sfrutta i poveri».

 

Quanto potrà incidere questa legge anche sul lato dell'occupazione?

«Parliamo di un’area ad alto potenziale occupazionale, lo confermano i dati Istat e di altri istituti di ricerca. Sono più di un milione gli occupati nel Terzo settore. Se verrà sostenuta l’impresa sociale nella gestione dei beni comuni, nei cosiddetti beni relazionali ( welfare, sanità, cultura, sport, ambiente, formazione….) si calcola un potenziale occupazionale di 200 mila nuovi occupati, tra i  giovani in particolare. Su questi settori va da sé che occorrono persone, nuove professionalità (penso ad esempio ai mediatori culturali) e una ripresa di tutte le professioni del sociale per troppi anni ritenute le meno qualificate».

 

In che rapporto si pone ora il Terzo settore nel mondo delle imprese con il riconoscimento dell’impresa sociale senza che questa resti dedicata a fasce marginali dell’economia?

«È un punto sul quale si è discusso molto dentro alle organizzazioni di Terzo settore, alcuni hanno manifestato il timore che il suo sviluppo oscuri il mondo del volontariato. Al contrario sono convinto che su questo punto si giocherà la vera partita se davvero il “Terzo” settore ambisce a non rimanere marginale dai processi di cambiamento profondi del nostro Paese. Una nicchia di valori, di testimonianza, preziosa certo, ma poco di più. L’impresa sociale invece permette di entrare nel sistema   produttivo del nostro Paese, di arricchirlo, di condizionarlo positivamente. E di costruire nuove alleanze con le imprese profit sotto il segno della responsabilità sociale, della sostenibilità, del   rapporto trasparente e corretto con il territorio. L’istituzione delle società benefit, che nulla hanno a che fare con il Terzo settore, va nella medesima direzione. I settori sui quali insisterà l’impresa sociale sono oggi sempre più settori strategici per lo sviluppo: penso alla tutela del patrimonio artistico e culturale, al turismo sociale, al welfare, ambiente, sport, formazione, accoglienza».

 

In che maniera potrà decollare questo cambiamento? Con quali risorse?

«Le risorse verranno dal pubblico e dai fondi europei (il Cipe delibererà un fondo di 200 milioni di euro per sostenere start up sociali), dal sostegno di fondi etici dedicati, dalle donazioni dei cittadini che nella legge appena approvata verranno sostenute con adeguate agevolazioni fiscali. Non da ultimo un 5 per mille rivisto e meglio finalizzato a progetti ad alto impatto sociale. Infine, la istituenda “Fondazione Italia sociale” nascerà con l’obiettivo di fare raccolta fondi proprio per sostenere progetti di impresa ad alto valore aggiunto. Insomma ci sono tutte le condizioni per partire e aprire una nuova stagione di imprenditoria sociale aperta ai nostri giovani».

 

Il testo della Legge delega è consultabile anche dal sito del Forum del Terzo settore a cui si rimanda

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