Parabola d’una coppia

Ho sempre pensato di non possedere una buona formazione cristiana, e così mi sono iscritta a un corso di catechismo per adulti. Joe, mio marito, è stato d’accordo nel parteciparvi anche lui. Il nostro parroco viveva da tempo la spiritualità del focolare e perciò ci ha invitato a fare la prova di viverla. Ma mettere il Vangelo in pratica, come chiede tale spiritualità, ci sembrava qualcosa di troppo radicale. Essendosene accorto, il parroco ci ha messo in contatto con alcune persone che già cercavano di vivere questo stile di vita. Occhi nuovi È bastato partecipare ad un piccolo incontro con quelle persone per sperimentare un cambiamento nella mia vita. Nell’incontro, una di loro ha condiviso le sue esperienze di perseveranza in un matrimonio più che difficile; erano fatti che stranamente assomigliavano alle mie vicende familiari. Così ho intuito che anch’io avrei potuto cercare di fare altrettanto. Non avevo mai pensato a mio marito come al prossimo più vicino da amare: strano, ma per me era una novità. Essere la prima a prendere l’iniziativa, senza aspettarmi niente di ritorno, vedere il prossimo – cioè mio marito – sempre con occhi nuovi, perché il passato era nella misericordia di Dio, mentre potevo amarlo totalmente nel momento presente… Concetti totalmente nuovi per me. Ho cercare perciò di comportarmi in questo modo, ovviamente con un fallimento dietro l’altro: mica si cambia così, con un colpo di bacchetta magica! Non era facile, perché spesso dovevo prendere su di me la colpa dei momenti più difficili della convivenza, e accettare la responsabilità di costruire l’unità. Ho smesso ad esempio di affliggerlo con il ricatto ripetuto e prolungato del mio silenzio, e chiedergli perdono è diventata una pratica più frequente. Alle volte mi sentivo prendere da un profondo scoraggiamento per i miei ripetuti fallimenti. Ma in quei momenti ho sperimentato l’importanza della comunità cristiana: sono sempre stata incoraggiata a ricominciare dagli altri amici del gruppo. 20 mila famiglie Nel 1981 abbiamo potuto partecipare al primo Familyfest, la grande manifestazione internazionale delle famiglie dei Focolari, a Roma. Joe aveva appena subìto un attacco al cuore, io stavo curando i miei genitori anziani e mia figlia aveva appena avuto il suo secondo bambino. Sembrava impossibile andarci, ma mio marito era deciso a farlo. Si è ripreso bene, e quella è stata forse l’esperienza più importante della nostra vita. Ritrovarci assieme ad altre 20 mila coppie con gli stessi scopi di vita ci ha riempito di gratitudine per avere potuto vivere insieme per 33 anni. In pensione Alcuni anni dopo Joe è andato in pensione. I miei genitori erano morti l’anno prima e io ero più libera di svolgere delle attività fuori casa. I piani di mio marito invece erano quelli di trasferirci ogni anno in Florida per svernare. Ma non essendo pronta a farlo, ho lasciato trascorrere tre inverni senza accettare l’invito, finché un parente mi ha fatto notare che ero così occupata nel dedicarmi agli altri da ignorare il mio prossimo più vicino, cioè mio marito. Ne è de- rivato un grosso esame di coscienza, per cominciare a stare più attenta ai suoi bisogni. Joe aveva lavorato sodo per 41 anni, e adesso si aspettava che noi ci prendessimo una vacanza ben meritata insieme. Risultato? Nove inverni in Florida, sperimentando un’intimità tra noi come mai era successo in precedenza. Nel 1997, poco prima del suo 75° compleanno e del nostro 50° anniversario di matrimonio, a Joe è stato diagnosticata una forma rara di leucemia. Siamo riusciti a celebrare i due anniversari prima di iniziare la chemioterapia. Dopo di che Joe si è ripreso completamente, al punto da farci pensare che la sua malattia fosse stata debellata. Devo confessare che quegli ultimi anni di matrimonio sono stati i più belli della nostra vita. Vedova Invece Joe è morto inaspettatamente poco dopo, cioè quattro anni fa. Io non ero pronta alla sua partenza e solo con l’aiuto dei miei amici ho trovato la forza di accettarla. Dopo il funerale un mio nipotino nella sua innocenza ha osservato che avrei dovuto vivere da sola. Mi ha scioccato pensare che, per la prima volta dopo 75 anni, io sarei rimasta senza nessuno di cui prendermi cura. Ogni giorno in più portava con sé la coscienza che ero sola. E che non ero poi così indipendente come pensavo di essere. Avevo dato per scontato tante cose di cui si incaricava Joe, come prendersi cura della macchina, delle riparazioni in casa, anche del semplice cambiare le pile alla radio… Tuttavia la cosa più difficile per me si è rivelata il dover recarmi ad eventi e a feste da sola, e non più come una coppia affiatata e riconosciuta. Dopo la mia prima deludente festa in solitario, ero restia ad andarci una seconda volta. Confidando ad un’amica quanto fosse doloroso andare in giro senza Joe, lei mi ha ricordato che questa era adesso per me la volontà di Dio: da ora in poi avrei dovuto andare avanti vivendo tale mancanza. Non avevo pensato che l’essere una vedova fosse parte del piano di Dio per me… Adesso, quando sono tentata di rinchiudermi in me stessa, mi aiuta ricordare di dire il mio sì, e andare avanti. Facendo così scopro sempre nuovi modi per rendermi disponibile, visitando ammalati, o aprendo la mia casa ad altri. C’è uno scritto di Chiara Lubich che dice: Non importa ciò che fai nella vita, quello che resta è l’amore . In questi ultimi anni ho scoperto che questo è vero, verissimo. Spesso mi vengono in mente molti piccoli atti concreti d’amore che mio marito ha fatto durante i nostri 52 anni di matrimonio, e di cui al momento non mi ero resa conto. Stanno qui a ricordarmi che è vero, che questo amore rimane. Lena Mangino – Boston

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