Pagamenti in ritardo, arriva la direttiva Ue

La nuova normativa europea obbliga le pubbliche amministrazioni ad onorare i propri debiti entro 60 giorni. Le conseguenze in Italia, dove i tempi sono molto più lunghi.
banconote euro

Sul Corriere della Sera del 14 settembre scorso è apparso un breve articolo a titolo Arriva il tetto europeo ai pagamenti in ritardo: dopo 60 giorni mora dell’8 per cento. Vi si legge che la Commissione europea ha raggiunto l’accordo con l’Europarlamento e il Consiglio dei ministri Ue per il varo di una direttiva contro i ritardi nei pagamenti da parte delle pubbliche amministrazioni, comprese unità sanitarie locali e ospedali. Accordo non facile: contro la proposta del termine di 30 giorni da parte della Commissione è passato il compromesso dei 60 giorni. I governi (contrari) hanno tentato la via delle deroghe. Germania, Italia (!!!), Lituania, Portogallo hanno votato contro. Sempre nello stesso articolo sono riportate le stime del vicepresidente della Commissione e commissario Ue all’Industria Antonio Tajani, che ha seguito il dossier. Il provvedimento dovrebbe sbloccare una liquidità pari ad almeno 180 miliardi di euro in tutti i 27 Paesi della Ue, con prevedibile vantaggio per piccole e medie imprese fornitrici dalle pubbliche amministrazioni vista anche la crisi economica.

 

Venendo all’Italia in particolare, occorre ricordare che il governo già si era mosso in questa direzione: con decreto legislativo n. 231 del 9 ottobre 2002 era stato vietato alle pubbliche amministrazioni di inserire nei contratti termini di pagamento iniqui, sanzionandoli e dichiarandoli nulli, assegnando inoltre ruoli di difesa e sorveglianza alle associazioni imprenditoriali. Il decreto inoltre recita: «Si considera in particolare gravemente iniquo l’accordo che, senza essere giustificato da ragioni oggettive, abbia come obiettivo principale quello di procurare al debitore liquidità aggiuntiva a spese del creditore, ovvero l’accordo con il quale l’appaltatore o il subfornitore principale imponga ai propri fornitori o subfornitori termini di pagamento ingiustificatamente più lunghi rispetto ai termini di pagamento ad esso concessi». Come dire: vietato finanziarsi sulle spalle delle aziende fornitrici.

 

Molte amministrazioni hanno fatto però orecchie da mercante se è vero che l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, con propria determinazione n. 4 del 7 luglio scorso, ha dovuto rilevare, a seguito di segnalazioni riguardanti l’applicazione del decreto, che i tempi con i quali queste onorano (sarebbe la parola giusta?) i propri impegni oscillano da 92 a 664 giorni, con una presunta esposizione debitoria di circa euro 37 miliardi (pari al 2,5 per centro del Pil) dovuta in particolare alle Uls ed alla raccolta rifiuti solidi urbani. La stessa determinazione analizza gli effetti negativi di tali comportamenti distorsivi del mercato e della concorrenza e richiama le pubbliche amministrazioni al rispetto del decreto, ricordando inoltre la direttiva europea all’epoca ancora in formazione.

 

Ed ora? È pensabile che con la direttiva europea le imprese fornitrici potranno reclamare il loro diritto ad essere pagate in tempi equi? C’è da dubitarne: un cliente è sempre un cliente (mai perderlo!) e quello che gioca è la forza contrattuale. Però possiamo abbandonarci un momento ad un piccolo sogno: un contesto dove i giovani (e non solo) avviano attività in proprio e lavorano con entusiasmo e tranquillità perchénon hanno dubbi circa il fatto di essere pagati subito, sia dai privati che dagli enti pubblici. Non badano alla fatica e all’impegno perché il loro lavoro li gratifica. Nascono idee, realizzazioni, crescita e armonia nelle relazioni. Chi penserebbe più alla disoccupazione giovanile? L’innovazione sarebbe naturalmente di casa. Il giusto e puntuale compenso per il lavoro dell’uomo costituiscono la vera fonte di ogni Rinascimento. Non ci sarebbe bisogno delle tante “misure di sostegno”.

 

Purtroppo la situazione è diversa: tempi lunghi di pagamento, ritardi rispetto alle scadenze contrattuali, necessità di trovare liquidità smobilizzando i crediti presso le banche (costoso!), assillo di dover sollecitare il debitore nel modo giusto per non irritarlo magari “ungendo le giuste ruote”…tanto tempo ed energie persi e tanti sentimenti negativi in circolazione. Quanti giovani sono così costretti a rinunciare all’attività in proprio per rifugiarsi nella fragile “sicurezza” del lavoro dipendente?

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