La pace c’è e c’è stata. Non è la produzione di un solo demiurgo, ma di un corpo sociale che ritiene razionalmente che la convivenza pacifica faccia l’interesse di tutti. Per 70 anni in Europa abbiamo cercato di mantenerci in pace, e in qualche modo e con qualche eccezione ci siamo riusciti. A parte gli incidenti dell’Irlanda del Nord nei ’60 e dei Balcani nei ’90, la pace c’è stata, le frontiere sono state aperte, si è creata una moneta comune, valori, leggi e tradizioni sono stati condivisi. Ciò è stato possibile per il trauma della Seconda guerra mondiale, che ha reso esausti di violenza tutti gli europei. Ma ora, passate le generazioni che avevano conosciuto la guerra, ci risiamo: nel Donbass, a Gaza, nel Nord Khivu, in Myanmar… La pace sembra tornata utopia irraggiungibile.
A dispetto dei nazionalismi, dei localismi e dei sovranismi che sembrano dominare la scena politica, cresce nei fatti una sensibilità globale per questioni che hanno a che fare con la pace, come la sensibilità ecologica, o il disarmo, in una fase in cui le lobby più potenti sono guarda caso quelle delle armi e delle risorse energetiche. Ma il segno più importante di una nuova mentalità globale è senza dubbio la rivoluzione digitale, che poco alla volta è entrata nella nostra vita, a cominciare dalle nostre tasche in cui conserviamo dei potentissimi strumenti che possono essere di pace – e sono stati concepiti così −, ma anche di guerra.
Si parla ora dell’ultima fase (per il momento) della rivoluzione digitale, quella dell’IA, dell’Intelligenza artificiale, anche se il suo percorso è iniziato già negli anni ’50. Ma per decenni, l’IA si è sviluppata solo come un orizzonte tecnico e tecnologico da raggiungere, ma con una certa atrofia dell’orizzonte di pensiero ed etico. Dico “orizzonte” e non “termine”, perché l’IA ha senza dubbio ancora da pensare sé stessa e il contesto nel quale dovrà espletare le sue funzionalità. Serve quindi una filosofia del digitale, un’etica del digitale, una teologia del digitale, una sophia del digitale insomma.
Purtroppo, uno dei primi campi in cui viene applicata l’IA, non è solo la ricerca scientifica, la sanità, l’amministrazione pubblica, ma anche la guerra. Agisce sia nell’incrementare i sistemi tradizionali di armamenti offensivi – droni, contraeree, tracciamenti di missili, bombe “intelligenti”, riconoscimento facciale… −, che provocano direttamente morti e feriti, anche se si pretende che l’IA possa portare a una guerra senza spargimento di sangue (del proprio campo). E c’è pure l’immateriale cyberwar, che agisce soprattutto nel campo comunicativo e informativo, oltre a quello dell’intelligence. Ormai è impensabile una guerra senza IA. Pensiamo agli “sciami di droni” che nessuno potrebbe gestire senza il sussidio dell’IA.
Nello stesso tempo, l’IA sta incrementando e sostenendo gli sforzi per la pace. Pensiamo al sostegno alla società civile, se non altro con algoritmi e informazione. Pensiamo al lavoro, alla sanità, alla ricerca, in cui l’IA apre scenari impossibili anche da ipotizzare solo pochi anni fa. La ricerca ha ridotto drasticamente i tempi necessari per arrivare a risultati utili. Ancora, l’IA sta aiutando in modo significativo le istituzioni pubbliche, così come quelle private, nell’avvicinamento dei cittadini. Pensiamo agli strumenti di geolocalizzazione. Soprattutto, l’IA ci sta aiutando a liberare il nostro tempo per attività non meccaniche, sostituendo lo sforzo umano col calcolo affidato alle macchine. Un esempio tra i tanti: l’IA aiuta a gestire l’accoglienza dei migranti coi traduttori automatici ormai usati ovunque.
Ma la pace va pensata da noi umani. Il limite dell’IA è la creatività, l’innovazione che “inventa” meccanismi che favoriscano la pace e la convivenza tra i popoli, se non addirittura la riconciliazione e il perdono. L’IA può favorire la relazionalità, ma non può determinarla, non può sostituirsi agli umani, la macchina può solo aiutare la persona umana nel raggiungimento dei suoi fini. La teologia ci insegna che la pace è un dono di Dio, come d’altronde l’unità. Ma tale certezza credente non oscura la necessità di ogni sforzo dei cuori e delle menti umane per la pace. La pace dipende sì dall’intelligenza degli umani, ma c’è sempre qualcosa di imponderabile che ha bisogno di un’intelligenza superiore, collettiva, che usi della sophia per leggere i segni dei tempi.