Non si può festeggiare il Natale

Chiusa la chiesa per protesta contro il decreto sicurezza e “i poveri Cristi” che muoiono di fame e di freddo

In questo Natale, don Gianni di San Bartolomeo della Certosa, uno dei parroci degli sfollati del ponte Morandi di Genova ricorda e ringrazia per la solidarietà arrivata al suo ufficio da tante parti dell’Italia, parrocchie e privati che hanno fatto raccolte di fondi per le vittime e gli sfollati

«Sono arrivati contributi da Mantova, Pavia, Piacenza, persino dalla Confraternita di San Giovanni Battista dei Genovesi a Roma. Almeno 50 mila euro. Ho cercato – spiega don Gianni – di aiutare alcune famiglie che risiedevano in via Porro ed erano inquilini, soprattutto stranieri, che non hanno qui parenti e si sono trovati senza casa e senza niente. Avevano bisogno di un appoggio vero. E poi, quelli che io chiamo gli “sfollati del lavoro”, quelli che mi preoccupano di più, perché chi ha perso la casa è stato comunque seguito e ricollocato abbastanza bene. Invece ci sono le persone che da un momento all’altro si sono trovate senza più la possibilità di lavorare, con le officine danneggiate, gli impianti chiusi. Ad almeno una ventina abbiamo cercato di dare un sostegno. Poi, speriamo che le promesse di dare loro un posto siano vere».

Il Natale quest’anno per don Gianni significa ripartire con una nuova speranza per la sua gente. E come segno per ripartire la sera della vigilia ci sarà una veglia itinerante che partirà dal presidio di via Fillak e arriverà in piazza Petrella dove è posizionato l’albero di Natale del Municipio. Lì i volontari stanno montando una capanna e lì verranno poste le statue della natività. Poi si tornerà in chiesa per la messa di mezzanotte.

«Spero che la ricostruzione sia un’occasione per riprogettare il quartiere e far sì che si senta più unito, perché dopo aver lottato insieme, ora insieme si possano avere dei risultati. Per la gente che ci abita, per il lavoro, per tutti». Per don Paolo parroco a san Torpete, pieno centro storico di Genova, il Natale cristiano non c’è più. La «memoria» della nascita di Gesù, è diventata un cinico fatto commerciale. «I cristiani sono complici del degrado di Natale, perché della nascita di Gesù non c’entra nulla con questo Natale, trasformato in saga paesana di abbuffate tra regali e presepi, mentre accanto l’indifferenza per i “i poveri Cristi” muoiono di fame e freddo in mare, nei bordelli della Libia pagati dall’Italia, che fomenta le guerre con l’immondo commercio delle armi, da cui ricava illeciti guadagni. Il cibo si butta via, mentre sulle stesse strade “Gesù, il migrante dei migranti” muore di fame e di freddo al canto di Tu scendi dalle stelle al freddo e al gelo.

Don Paolo per questo Natale ha deciso che «non si può celebrare il Natale, anche per “obiezione di coscienza” al Decreto Legge N. 113/2018, conosciuto come decreto sicurezza, sebbene sia un decreto di massima insicurezza e sfregio dei valori e dei sentimenti più profondi della democrazia e del diritto».

Da qui la decisione di chiudere la chiesa, «perché è un Natale senza Cristo, un Natale senza Dio, un Natale senza Uomo. Possa la chiesa, chiusa per fallimento, stimolare il pensiero e la riflessione dei credenti e quanti hanno coscienza che Natale sia «Dio-con-noi». Le celebrazioni, fa sapere, riprenderanno con l’Epifania, festa di universalità senza confini.

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