Nessun reato: Carola Rackete libera

Il Gip di Agrigento, Alessandra Vella non convalida l’arresto della comandante della Sea Watch. La donna è nuovamente in libertà. Salvini reagisce duramente ed annuncia un decreto di espulsione  
Federico Gambarini/picture-alliance/dpa/AP Images

Non c’è reato: salvare i migranti era un suo dovere. La decisione del Gip di Agrigento, Alessandra Vella, arriva solo a sera, dopo un intero giorno di attesa. E gli effetti non potrebbero avere maggiore eco.

Il giudice non ha convalidato l’arresto di Carola Rackete. Chi lo ha fatto, lo ha fatto senza una ragione. Il magistrato agrigentino decide che Carola Racklete non ha commesso alcun reato. Ha agito in stato di necessità per porre in salvo i migranti.

Ha escluso il reato di resistenza e violenza a nave da guerra quello di resistenza a pubblico ufficiale sarebbe stato commesso in stato di necessità con l’unico intento di salvare la vita delle persone che aveva a bordo e che, da 17 giorni, attendevano un approdo sicuro. Ha anche ritenuto che aver fatto rotta verso Lampedusa era una necessità poiché i porti di Libia e Tunisia non sono ritenuti sicuri.

Dopo quattro giorni agli arresti domiciliari, Carola Rackete è tornata in libertà. Arriva però immediato il decreto di espulsione dal territorio nazionale, deciso da Salvini e firmato immediatamente dal Prefetto di Agrigento. Con tutta probabilità, non potrà essere eseguito subito, poiché il 9 luglio è previsto l’interrogatorio della comandante davanti al giudice. Ma Carola Rackete potrà attendere quel giorno da donna libera.

La giovane donna si è detta «commossa» per la solidarietà che è arrivata in questi giorni, da più parti e «sollevata» per la decisione del giudice, che considera «una grande vittoria della solidarietà verso tutti i migranti».

In altri tempi, questa decisione non avrebbe avuto un’eco simile. Invece, per l’Italia spaccata in due tra sovranisti e tutti coloro che potremmo definire «di area democratica» anche la decisione del magistrato, più che sul piano giuridico, viene valutata sul piano delle opportunità e delle valutazioni politiche.

Nelle norme, ancora oggi, vi sono elementi e norme contrastanti, specie per ciò che attiene al nuovo “decreto sicurezza” ed alle sue previsioni. Sono dei nodi che bisognerà sciogliere perché le norme, in un Paese normale, devono indicare una sola direzione di marcia.

Ma sul piano politico e soprattutto per ciò che attiene ai suoi risvolti sociali, questa vicenda rischia di innescare, anzi di acuire, gli scontri ideologici già in atto nel Paese. Sul fronte della “paura”, del «rifiuto» del diverso e del migrante, si stanno acuendo delle posizioni molto dure, i cui effetti potrebbero essere deleteri.

La campagna d’odio che sta percorrendo le strade del Paese potrebbe avere effetti devastanti. Sono lontani gli anni in cui le parole «accoglienza» e «immigrazione» erano uno dei leit motiv di un’Italia che diventava, sempre più, multiculturale. È una prospettiva a cui non possiamo sottrarci, ma che oggi, da più parti, viene osteggiata, per paura, per intolleranza.

Sul piano giuridico si scontrano più elementi (violenza e resistenza a nave da guerra, favoreggiamento dell’immigrazione, ma anche obbligo del salvataggio in mare, sulla base di quanto previsto dal Codice della Navigazione e dal Diritto Internazionale): tutti, comunque lo si voglia considerare, coesistono all’interno della vicenda della Sea Watch.

Le dure parole di Matteo Salvini, pronunciate a tarda sera, la sua «delusione» per la sentenza, ma soprattutto l’attacco implicito alla magistratura ed alla necessità di cambiarla sono come un cerino che rischia di innescare una miccia. Gli attacchi alla magistratura da parte degli esponenti politici non sono una novità in questo Paese.

Più volte, anche nel recente passato, alcuni esponenti politici, di fronte ad una decisione non condivisa, accennano alla necessità di «riformare la giustizia». Se una sentenza non va bene, la colpa è certamente di chi l’ha emessa in contrasto con le mie aspettative: un teorema pericoloso.

La magistratura, sotto scacco per vicende che ben conosciamo, deve comunque rimanere indipendente. Deve – questo si – essere sottoposta a controlli sul suo operato perché il malaffare non risparmia nessuno.

Forse, in un Paese che scopre, ogni giorno di più, i mille rivoli di una corruttela che ha permeato ogni angolo del Paese, il problema non è attaccare la magistratura, quanto piuttosto darle maggiore possibilità di agire.

Perché le inchieste ci sono. E se gli arresti e le denunce arrivano,c’è certo da gridare allo scandalo. Ma c’è anche da ricordare che se le inchieste ci sono, è perché una magistratura ancora libera – nonostante tutto – serve ed è vitale per il futuro della democrazia.

I magistrati servono: sia quando arrestano Carola Rackete, sia quando decidono di annullarne l’arresto. Se decisioni diverse possono essere assunte è perché i magistrati sono indipendenti dagli altri poteri, legislativo ed esecutivo. È nella difesa del loro operato, dell’indipendenza della loro azione, uno dei cardini della nostra democrazia.

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