Come nel Medioevo, la politica delle grida

È una tendenza universale, o quasi, quella di pensare non tanto al bene comune a medio o lungo termine, ma a breve o brevissimo termine, per le scadenze immediate

Premessa: non riguarda solo l’Italia questa riflessione, né solo il presidente Usa o quello filippino. Dappertutto, ormai, si fa politica coi tweet e con gli slogan ripresi in tv e su Internet, un esercizio di presenzialismo che richiede un fisico d’acciaio, una fantasia sfrenata, uno stuolo di collaboratori rapidissimi (e forse in alcuni casi anche un po’ di cocaina). Bisogna ogni giorno, ogni ora, ogni minuto trovare lo slogan adatto a conquistare la prima pagina dei giornali e soprattutto i titoli di testa sui telegiornali e sui siti Internet che contano e diventare virali sui social. Accade in Europa, certamente, ma anche in Africa, in Medio Oriente, in Estremo Oriente. È un fenomeno che lega la politica mondiale. Certo, i ritmi non sono uguali dappertutto, dipende se il Paese in questione si è dotato di G2/G3/G4/H+ e via dicendo, la tecnologia conta. Ma la linea di tendenza è la stessa.

Alla base di questo accorciamento degli orizzonti della politica c’è la rivoluzione digitale, che ha portato ad accentuare un fenomeno già conosciuto in certe democrazie: la polarizzazione, il manicheismo, il bianco/nero, l’esaltazione e la dannazione, la demonizzazione o la santificazione d’un personaggio, e di conseguenza l’incapacità della politica di proporre programmi seri e con coperture adeguate, di andare alla radice dei problemi, di curare il morbo e non il sintomo.

Nel Medioevo, nelle piazze dei comuni italiani, austriaci e spagnoli, scendevano i messi comunali, i banditori, inviati dal potente di turno per “le grida”: un uomo dalla voce chiara e potente, gridava le leggi approvate dal potente, o dai suoi feudatari. Non c’erano Internet e la tv, e bisognava perciò gridare in piazza. Oggi lo si fa su Internet, ma non per annunciare leggi e provvedimenti già approvati, ma solo per occupare la scena, per fare un esercizio di sopraffazione dell’avversario grazie ai decibel, reali o metaforici, che sovrastano la voce dell’avversario di turno. Talk show docent.

Basta, credo che il discorso sia chiaro. Però, c’è un però: i politici per loro natura si credono immortali, mentre naturalmente non lo sono. Anzi, l’esposizione mediatica eccessiva prima o poi stanca la gente, sempre più velocemente: perché un uomo solo ha buono inventare ogni giorno qualcosa di nuovo, ma alla fine raschia per forza di cose il fondo del barile e si ripete. Ecco, la ripetizione diventa alla fine un handicap, e il politico di turno viene scacciato da qualcuno che sa gridare “più forte” e “più nuovo”. Passa presto la scena di questo mondo, chi grida certamente ottiene un po’ di successo, ma effimero, instabile. Conviene lasciare gridare gli altri e invece lavorare al bene, soprattutto se comune. Quello resta, se costruito su buone fondamenta.

Post scriptum: questo non vuol dire che si debbano demonizzare coloro che inventano slogan. Anzi, saper creare brevi frasi incisive, saper concepire aforismi che lasciano il segno è un’arte sopraffina: il pensare breve è un’arte. Ma tale pensare deve essere capace di far pensare anche gli altri, non solo di suscitare emozioni. Le emozioni passano, il pensiero resta.

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