Nascita di una Nazione

Tra Guttuso, Fontana e Schifano, uno straordinario viaggio tra arte, politica e società nell’Italia tra gli anni '50 e il periodo della contestazione del '68

La vera Italia repubblicana nasce nell’immediato dopoguerra o nel ventennio che porta sino al fatidico 1968? Se lo devono esser chiesti gli organizzatori di una mostra a Firenze, dai contenuti quanto mai significativi. In primo luogo perché la domanda trova una possibile riposta attraverso le opere di artisti variegati i quali, visti uno dopo l’altro, o anche insieme, offrono un’idea prismatica della formazione culturale della “Nuova Italia”. Per chi poi ha vissuto le trasformazioni di quei decenni, la rassegna appare ancor più interessante. Finiva un mondo e ne iniziava un altro: è la convinzione che nasce a fine mostra, dopo le 80 opere di Burri, Schifano, Guttuso, Fontana, Manzoni, Vedova, Pistoletto, tanto per citare alcuni nomi.

Sono stati tempi dove l’idea di arte soppianta quella secolare, passando dall’Informale alla Pop Art, dalla pittura monocroma all’Arte Povera e a quella Concettuale. Passaggi certo non indolori, anche per la forza delle personalità che li hanno espressi in un periodo creativo e ricco anche di contraddizioni, tra la crisi del mondo agricolo, l’affermazione della industrializzazione e del consumismo. Nasce comunque in questo ventennio l’dea di un’arte che si esprima attraverso un universo vitalissimo di linguaggi, nessuno identico all’altro, in una volontà decisa di autoaffermazione in pensieri e forme le più varie. Un periodo fertile, forse più di oggi.

Il confronto con l’attualità è stringente e inevitabile, tra l’entusiasmo di allora e la profonda depressione attuale. Vedere la rassegna perciò non può che far bene. Tra le opere ne scegliamo alcune a nostro giudizio rappresentative di quel particolare momento storico. È naturale aprire con la grande tela di Renato Guttuso del 1955, la Battaglia di Ponte dell’Ammiraglio: una rivisitazione “rossa” della resa a Garibaldi, sanguigna come Il Comizio di Giulio Turcato (1950). Due opere chiaramente rivoluzionarie negli intenti, “politiche”, espressione del collegamento fra arte e ideologia tipiche di quel periodo di contrapposizioni forti. Ma i due sono artisti e le bandiere rosse di Turcato diventano lance aguzze di una folla immensa – che non si vede ma c’ è -, astratte punte acuminate come grida rivoluzionarie. Certo, ci sono anche linguaggi opposti. Prendiamo Alberto Burri e il suo Sacco e Bianco (1953): nulla di più diverso dalle tele precedenti. Burri inventa l’Arte Povera, quella di considerare un sacco materiale espressivo. Una rivoluzione estetica, che fece scandalo – o furore, a seconda delle visioni -, ma che oggi forse vediamo meglio di ieri, perchè si riallacciava all’antico tema della “natura morta”, ai capolavori di Caravaggio o Cézanne. Erano comunque anni poco pacifici. Lo dimostra la grande tela di Emilio Vedova, Scontro di situazioni (1959), un inno astratto alla ribellione, alla difficoltà di dialogo che si risolve in violenza esibita da un cosmo di segni aguzzi neri e bianchi: il bene e il male che si fronteggiano. La valenza simbolica del lavoro è forte, indica un’aria agitata come lo erano i pensieri di quei giorni.

Alcuni tuttavia rifuggono dal dramma rifugiandosi in un simbolismo dove la luce è la protagonista. È il caso di Piero Manzoni le cui opere danno il senso di uno spazio infinito rappreso in una tela candida (Achrome, 1959) o nel Corpo d’aria o in altre forme volutamente provocatorie. Non c’è bisogno di arrivare a Lucio Fontana, al suo Concetto spaziale. Attesa (1965). Il tentativo delle mente umana di forare il cosmo (o Dio?) o il male che tenta di ottundere l’innocenza umana? È la ricerca di un nuovo tipo di bellezza. Il siciliano Pietro Consagra nel Ferro trasparente bianco (1966) coniuga lo sperimentalismo che incurva il metallo con la bellezza di una forma astratta vibrante nello spazio. Vi si sente un calore, un uscire da quella nebbia che allora attraversava il cinema di Antonioni.

Il figurativo non è però morto. Viene reinterpretato. Sergio Lombardo muove figure quasi mitiche come Kruscev e Kennedy in tele smaltate: le sagome sintetizzano in gesti eloquenti e allusivi un clima politico-sociale in fermento. Si capiscono allora l’arte di Mario Schifano che firma NO 1960, l’apoteosi dell’idea comunista in Corteo (1968) di Franco Angeli, l’Italia capovolta di Luciano Fabro (1968) segno della “immaginazione al potere”. Si cerca in definitiva una luce dopo la guerra. Ideologie, consumismo, “dolce vita”, è un mondo che vuole vivere dopo tanta strage. Di tutta questa creatività cosa resta oggi in Italia? È la domanda che pone questa rassegna imperdibile.

Firenze, Palazzo Strozzi, fino al 22.7 (cat. Marsilio)

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