Montalbano: le ragioni del successo secondo il dottor Pasquano

Una simpatia unica, una squisita umanità e un grande talento teatrale certificato anche dal ruolo del dottor Pasquano ne Il commissario Montalbano che lo ha reso celebre. Lo raggiungo per telefono mentre è in ospedale per un breve ricovero, ma accetta volentieri di essere intervistato, con la sua solita gentilezza e disponibilità. Un signore d’altri tempi. Nostra intervista a Marcello Perracchio, classe 1938.

Sulla scena da oltre 50 anni. È in grado di passare felicemente dalla tragedia classica al teatro di tradizione dialettale, fino alle più ardite sperimentazioni della drammaturgia del ‘900. Se si dovesse definire, che tipo di attore è? Sono un uomo normale prestato al teatro e al mondo dello spettacolo. Ho avuto la possibilità, quasi per caso, di entrare nello straordinario mondo dello spettacolo e di sfruttare i pochi o molti talenti che mi sono stati dati. Non sta a me poterlo stabilire.

Come ha maturato che aveva un talento? Ho cominciato da bambino, avevo tra i 5 e i 6 anni, in oratorio con i salesiani e con gli spettacoli studenteschi, fino al grande passo nel professionismo nel 1981 con il Teatro Stabile di Catania con Turi Ferro primo attore al Piccolo di Milano. Avevo una mia attività, a 40 anni ho mollato tutto e ho ricominciato daccapo.

Quali sono i suoi personaggi che ricorda con più affetto? Ho interpretato un personaggio, un migrante siciliano, nell’opera Ultima violenza di Pippo Fava. La storia è ambientata in tribunale: è un processo a 7 personaggi coinvolti forse in un solo assassinio. Uomini politici, finanzieri, terroristi e mafiosi, emblematici di tutta la violenza italiana. Turi Ferro faceva l’avvocato protagonista e io interpretavo un giovane migrante siciliano spinto dal bisogno di una giustizia inesistente. Perde tutto, anche la casa, e diventa strumento della mafia ma si ribella. Pippo Fava fu ucciso dalla mafia nel 1984 e c’è una sua battuta illuminante in Ultima violenza che fa dire al protagonista: «Io mi batterò sempre per cercare la verità, in ogni luogo ove ci sia confronto fra violenza e dolore umano. E capire il perché». Ne ho, poi, interpretati così tanti che sono legato a tutti, anche se alcuni riescono meglio, altri peggio.

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Qual è il segreto di un buon attore? La modestia. Non avere la presunzione di sapere tutto. Imparare dai più bravi. Ascoltare i consigli e soprattutto impadronirsi dei personaggi. Riuscire a vivere le loro stesse emozioni come l’autore li ha descritti, ma poi farli propri, adattare le possibilità e studiarlo nei minimi particolari.

A un giovane consiglierebbe questo mestiere? È una esperienza straordinaria anche se i tempi sono cambiati specie per i giovani attori perché non c’è una selezione basata sul merito. C’è il diritto di discendenza, c’è la raccomandazione però, alla fine, i veri valori vengono fuori. Se un giovane è un bravo attore, viene in rilievo perché il pubblico è sovrano e ti dà o non ti dà il successo che meriti.

Nella vita quali sono i valori che l’hanno sempre ispirata? La famiglia e cercare sempre di comportarsi da galantuomo.

Anche sua moglie era un’attrice? Era una casalinga che si è tanto sacrificata per me perché ho fatto l’attore impegnato e lei a casa si è cresciuta i nostri due figli: li ha educati bene. Una grandissima moglie, una bravissima mamma.

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Deve la sua popolarità a Montalbano, quali sono le ragioni di questo successo? Montalbano è un uomo pulito, onesto, con le sue debolezze e difetti. Però non si arrende mai, non cede mai, e di questo c’è bisogno in Italia. Persone votate al bene e non al male. I tv movie de Il commissario Montalbano non presentano la storia romanzata di fenomeni delinquenziali, ma parlano della natura umana nella sua interezza con luci e ombre. Montalbano, come diceva Pirandello, è un personaggio che sfugge di mano all’autore, prende la sua strada, vive una vita propria. Spesso in Italia si preferisce raccontare storie votate al male: giovani delinquenti, drogati che vivono ai margini della società, mentre abbiamo dei straordinari giovani dedicati al volontariato, all’assistenza e queste storie non vengono mai rappresentate. Mentre in tv, nello spettacolo si potrebbe assistere a belle storie, esempi di dignità, di lealtà, di vera amicizia, di collaborazione, di possibilità di aiutare gli altri, di concedersi agli altri. Se si facesse, penso che il mondo sarebbe migliore. È anche una questione educativa.

La Sicilia è la terra dei greci. Siracusa contendeva ad Atene il primato culturale e fino al XIII secolo la lingua più parlata è stata il greco. Non è stata terra di conquista e di passaggio, ma una terra dove si è sedimentata una civiltà… La Sicilia affonda le sue radici nella tragedia classica ed è un caleidoscopio di culture: greci, romani, arabi, normanni, francesi, spagnoli. Ci sono tutte le sfumature dei caratteri di tutto il mondo. In Sicilia tutto è a tinte più forti. Sarà il calore dell’Etna, il sole, ma tutto accentuato, moltiplicato, esagerato. Siamo una tragedia greca. Montalbano è una tragedia, ma raccontata con la sottile ironia che solo Camilleri riesce a dare con l’interpretazione straordinaria degli attori.

Cosa ha messo di suo nell’interpretazione del dottor Pasquano. È sempre stato così definito o è variato il personaggio? Nasce come un normale medico legale, poi la caratteristica dell’attore lo ha trasformato perché, insieme a Luca Zingaretti, siamo riusciti a creare un gioco, un duello al fioretto, basato sulla stima reciproca, con piccoli torti che si scambiano con tanta bonomia e tanto affetto, perché in realtà sono due personaggi che si vogliono bene, molto ben integrati. Montalbano ha bisogno del dottor Pasquano. E viceversa.

Noto che, a volte, in questi duetti tra il dottor Pasquano e Montalbano, Luca Zingaretti sorrida sotto i baffi, come che si trattenesse dal ridere. È così? Ogni volta è un incontro festoso quando ci ritroviamo sul set. Siamo riusciti a trovare una sintonia e Luca Zingaretti si diverte. È un gioco che piace anche al pubblico. Sia io che Luca Zingaretti aggiungiamo dei particolari, una trovata, una sfumatura, un finale diverso da come era prevista la scena. Se ci divertiamo noi, si diverte anche il pubblico.

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