Sono missili, però “carini, nuovi e intelligenti”

Continua la guerra per procura delle grandi potenze, che discutono sugli (ipotetici) attacchi con il gas, e sulle bombe di Trump. Chi ascolta invece la popolazione siriana?

«Signor Trump, lei pensa davvero che il popolo siriano sia spaventato o anche solo interessato ai suoi missili nuovi, belli ed intelligenti? Mi creda, non importa niente a nessuno. Abbiamo già abbastanza dolore e sofferenza da sopportare ogni giorno nelle nostre vite, da avere altro tempo da dedicare all’attesa dei suoi diabolici missili».

Così scriveva nei giorni scorsi Asianews riportando una lettera aperta di Sandra Awad al presidente statunitense. Siriana 40enne di Damasco, madre di due figli e responsabile dal 2013 della comunicazione di Caritas Siria, Sandra vive da oltre 7 anni il dramma del suo paese aiutando le vittime. I 100 missili “nice and new and smart” (come scrive Trump nel suo twitt) sono poi arrivati la notte del 14 aprile, lanciati da navi statunitensi al largo della costa siriana o sganciati da aerei americani, francesi e britannici su tre siti militari siriani, a Damasco e Homs.

Erano stati promessi dal “comandante in capo” e ormai non si potevano evitare. Sono arrivati a destinazione senza provocare troppi danni a parte gli obiettivi: presunti impianti di produzione e/o stoccaggio di armi chimiche. E “solo” tre feriti. Quindi la faccia è salva. Che poi il bombardamento con i gas su Duma del 7 aprile, di cui quei missili sarebbero la risposta, sia avvenuto o meno, chi l’abbia fatto o non fatto e perché, non ha apparentemente mai avuto molta importanza, visto che l’attacco è stato sferrato prima (poche ore) dell’arrivo della delegazione Opac, l’organizzazione per la proibizione delle armi chimiche, che in collaborazione con le Nu dovrebbe certificare se c’è stato o meno un attacco alla popolazione mediante gas nell’area di Duma il 7 aprile scorso.

La notizia di un attacco con gas tossici attuato dall’aviazione governativa di Bashar Al-Asad è stata diffusa dai famosi White Helmets, che hanno fornito anche video e foto di persone colpite, oltre alle ormai notissime immagini di bambini e adulti innaffiati. La notizia è stata poi ripresa e diffusa dal Sohr, l’Osservatorio siriano per i diritti umani, con sede a Londra. Agenzie entrambe non neutrali, anzi su posizioni antigovernative.

L’affermazione “abbiamo le prove”, ripetuta ad oltranza da parte dei governi statunitense, britannico e francese, non è mai andata oltre queste parole. Quali siano le prove non è dato sapere.

Dalla parte avversa, come sempre, si smentisce tutto: governativi siriani, russi e iraniani negano. I russi, però, non si limitano a negare la propria responsabilità e quella di Assad nell’attacco con armi chimiche, ma sostengono addirittura che non ci sia stato a Duma nessun attacco con i gas e che non ci sia nessuno intossicato all’ospedale. Si tratterebbe di una messinscena costruita ad hoc per giustificare il successivo attacco missilistico.

L’ipotesi, che tale comunque rimane, non è del tutto peregrina e non sarebbe neppure la prima volta. Come segnala il collega Alberto Barlocci, in una nota su cittanuova.it di qualche giorno fa: «Dopo l’accusa formulata nel 2013 contro Assad di aver usato armi chimiche a Ghouta, il MIT di Boston, di certo non antistatunitense, segnalava che i tracciati degli spari indicavano che l’attacco chimico proveniva da settori ribelli e non governativi». Queste conclusioni per la strage del 2013 e l’ipotesi che ci si potrebbe trovare di fronte ad un’analogia per l’episodio del 7 aprile scorso è condivisa anche dall’ex generale Leonardo Tricarico, della fondazione ICSA, che è intervenuto al TG2 del 14 aprile.

Con tutto ciò non è lecito a nessuno avvalorare una tesi piuttosto che l’altra, o, ancora peggio, indignarsi per un attacco chimico a Duma o sostenere che non c’è stato. Anzi è probabile che in questi anni in Siria i gas li abbiano usati in parecchi da una parte e dall’altra: sia i governativi che i ribelli. E i garanti della “linea rossa che non si può oltrepassare” hanno probabilmente arsenali pieni di quegli stessi gas, e anche di molto peggio.

Quello che sconcerta noi poveri buonisti, e che purtroppo conta, è che la guerra per procura delle grandi potenze continua come prima in Medio Oriente. La cinica logica che governa il balletto dei potenti sembra la stessa che espresse ai tempi della guerra fredda George Kennan, a proposito dell’imperialismo: «Se non prendiamo noi quei territori, lo farà qualcun altro. E questo sarà ancora peggio» (cf. U.Tramballi su Il sole24ore del 14 aprile).

In questa prospettiva disumana sembrerebbe contare ben poco l’opinione dei siriani, governativi o ribelli che siano. Chi vincerà? In tanti speriamo che saranno le tenacia dei profughi, l’amore per il destino dei figli, l’impegno umanitario di uomini e donne che non si rassegnano e la follia visionaria di chi, nonostante tutto, ha l’intelligenza e il coraggio di immaginare la pace.

 

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