Medio Oriente: rimettiamoci al lavoro

Lo scenario mediorientale, pur tra segnali incoraggianti, come il movimento democratico in Libano, si è negli ultimi mesi sensibilmente involuto. Due sono i principali elementi di preoccupazione. Il primo è l’atteggiamento di intransigenza assunto dall’Iran di Ahmadinejad sulla spinosa questione del programma nucleare. I negoziati condotti da tre paesi europei (Inghilterra, Germania e Francia) per convincere Teheran a dare assicurazioni concrete sulle intenzioni pacifiche delle sue ambizioni nucleari sembrano giunti ad un nulla di fatto. L’ultima proposta sottoposta all’Iran di creare una società mista russo-iraniana che desse garanzie in questa direzione è purtroppo stata rifiutata da Teheran. Ora si fa più concreta la richiesta da tempo avanzata da parte americana di deferire l’Iran al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite per violazione degli impegni presi in campo internazionale contro il rischio della proliferazione nucleare per fini militari. Si è parlato di sanzioni contro Teheran, che inevitabilmente assumerebbero una veste economica. Si possono facilmente immaginare le conseguenze sui prezzi del petrolio, di cui l’Iran è tra i primi produttori e fornitori mondiali, senza contare l’aggravarsi di una tensione che in quell’area del pianeta (l’Iraq insegna) è già palpabile. Certo è che l’atteggiamento dell’Occidente nuclearizzato non brilla per coerenza. Le armi di distruzione di massa non sono buone o cattive a seconda di chi le detiene, ma sono un rischio sempre e comunque, per tutta l’umanità. L’altro elemento critico della situazione mediorientale è costituito dalla scomparsa politica di Sharon e dalla netta vittoria degli estremisti di Hamas alle elezioni legislative palestinesi del 25 gennaio scorso. Le prossime settimane potrebbero marcare, se in Israele dovesse affermarsi il Likud di Netanyahu, invece del partito Kadima ora guidato da Olmert, una sorta di riavvolgimento del nastro della storia addirittura ai tempi bui precedenti agli Accordi di Camp David. Un confronto tra Hamas da una parte e Likud dall’altra non promette infatti niente di buono. È anche vero che le responsabilità di governo esigono realismo e prudenza. Da parte sua, l’Occidente si rimbocchi le maniche. L’Iran a sua volta non ceda alla tentazione, approfittando del momento, di giocare (in Palestina, in Libano, in Iraq, in Afghanistan) al risiko della destabilizzazione regionale.

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