Legittima difesa, il monito di Mattarella

Intervento inconsueto del presidente della Repubblica nella promulgazione della modifica del codice penale. Il rispetto della Costituzione e quindi della dignità umana

Le parole scritte dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ai presidenti della Camera e del Senato, così come al presidente del Consiglio, rimbalzano nei quotidiani, quasi a scandire un “monito” alle istituzioni nel momento della firma della legge sulla legittima difesa.

Le modifiche al codice penale – anzitutto l’art. 52 –, appena promulgate con la nuova normativa, consentono di ampliare i casi di non punibilità a favore di chi reagisce legittimamente a un’offesa ingiusta all’interno del proprio domicilio o in luoghi ad esso assimilati.

Già, a suo tempo, durante l’iter parlamentare di approvazione della legge, abbiamo avuto modo di evidenziare – come baluardo di costituzionalità – l’ineludibile accertamento, al di là di ogni presunzione, dei presupposti di legittimità della difesa messa in atto dal cittadino, ingiustamente aggredito. Oggi, trova conferma nel richiamo di Mattarella l’irrinunciabile esistenza di una condizione di necessità nella reazione difensiva, quale imprescindibile fondamento costituzionale.

E ineludibile è anche, nella modifica dell’art. 55 del codice penale, la valutazione in concreto dello “stato di grave turbamento”: perché possa escludere la punibilità della reazione difensiva, deve essere come tale accertato caso per caso nella sua portata oggettiva.

Non mancano, da parte del Presidente, ulteriori rilievi, tra cui quello in ordine alla disposizione che introduce un trattamento differenziato “non ragionevole”, allorché solo in caso di condanna per furto nell’abitazione o “con strappo”, ma non per rapina, si subordina la concessione della sospensione condizionale della pena al risarcimento del danno alla persona offesa. Forse, al di là del “dentro” o del “fuori” come luogo del reato per giustificare regimi differenti, altri sono gli indici non trascurabili, in questo caso la pericolosità della condotta di aggressione. E nelle sue modalità quest’ultima denota indici di pericolosità comunque ravvisabili nel “furto con strappo” come nella rapina.

Resta, però, al di sopra di tutto l’avvertimento, peraltro inconsueto in sede di promulgazione di una legge, in merito all’interpretazione della stessa, affinché in nessun caso si discosti dal fondamento costituzionale. Mai può esservi spazio per una “giustizia fai da te”, perché è una conquista di civiltà aver riposto la sicurezza dei cittadini e la giustizia stessa nella responsabilità dello Stato, che attraverso i suoi organi ne offre le necessarie garanzie. E la giustizia nel nostro, che vuole essere uno Stato di diritto, «è amministrata in nome del popolo» (art. 101 Cost.), ricercata nelle aule dei tribunali, dove non può essere ridotta a mera procedura, né disattendere i limiti che la Costituzione pone.

Alla magistratura, dunque, il compito nell’applicazione della legge di accertare e valutare, con la massima obiettività, ogni situazione concreta nei suoi presupposti di legittimità della difesa; ma spetterà “sempre” al cittadino la responsabilità di saper riconoscere, anche dinanzi a un’offesa ingiusta, l’inviolabilità dei diritti di cui ognuno è portatore, e che l’art. 2 della Costituzione “riconosce e garantisce” a ogni uomo. E il primo non può che essere la “vita”, mai banale né indifferente.

 

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