Madre Teresa inno alla gioia

Un inno alla gioia. Alla speranza in un futuro migliore. Un messaggio senza retorica, affidato ai giovani, e sostanziato di spiritualità: quella di Madre Teresa. A lei Maurice Béjart ha dedicato l’ultima sua creazione: Mère Teresa et les enfants du monde. Il celebre demiurgo della danza del secondo Novecento, coreografo di miti e culture d’oriente e d’occidente, aggiunge un nuovo tassello alla sua visione intrisa di palpiti universali. C’è una donna che entra pulendo il pavimento; sparge gesti di tenerezza; avanza decisa tra le file di aste ritmate dai danzatori; riempie ciotole di cibo; stende il suo manto azzurro accogliendo tutti. E intanto recita frasi nate da quell’amore effuso col cuore e le mani dalla missionaria di Calcutta. Quella che vediamo in scena – impersonata da una matura Marcia Haydée, ballerina ai tempi del Balletto di Stoccarda, ancora capace di regalarci gesti intensi – vuole rappresentarne l’emulazione: la dedizione di una ricca signora per i ragazzi delle favelas, simbolo di quella povertà materiale e spirituale che grida ovunque. A evidenziare la forza della testimonianza di Madre Teresa, capace di contagiare ancora oggi. Pur apparendo a tratti didascalico e frammentato, Mère Teresa… vibra di freschezza compositiva. Sulle ricche contaminazioni musicali (prevalentemente indiane) i movimenti dei sedici magnifici ballerini si fanno preghiera, canto, esaltazione, sofferenza trasfigurata. Con questo balletto Béjart battezza la sua nuova compagnia “M”, formata dai migliori allievi della scuola Rudra. E già spiccano per talento, per altissima espressività e tecnica. Béjart li guida, coralmente negli assoli, in un crescendo di distillata bellezza coreografica. Al Teatro Olimpico di Roma. Babele multietnica Un mosaico di culture, dal look giovanile. È l’inconfondibile marchio della compagnia Montalvo-Hervieu: tribù multietnica che ama l’armonia della diversità. Espressa in danza con fantasia sbrigliata. Il nuovo spettacolo Babelle hereuse (ospite dell’Accademia Filarmonica Romana e del Festival Romaeuropa) sfoggia, ancora una volta, trasversali linguaggi danzati e musicali – classico, hip hop, acrobatico, capoeira – dentro fondali colorati e proiezioni a tutta scena. Su musiche persiane tradizionali, la favola di un giovane iraniano che incontra una danzatrice parigina amante del barocco, è solo il pretesto per scatenare le danze. Ciascuno esibisce il suo stile, ma dialogando con quello dell’altro. L’insieme assomiglia ad un grande videoclip dove un bestiario ludico di oche, tigri, cavalli, coccodrilli, interagisce virtualmente con i ballerini dal vivo in scatenate coreografie breakdance sulle note di Vivaldi, movimenti afro su Bach, e altro ancora. Come la danza corale con le oche in mano, i contorsionismi circensi, il duetto a testa in giù. E il finale cantato col pubblico. Allegria e leggerezza fanno di Babelle hereuse una gioia per gli occhi. TEATRO DIVERTENTE VOLPONE Ambientato in un mondo governato dal dio denaro e popolato da personaggi rapaci dal nome di animali (un allusivo bestiario, da cui il titolo), Volpone, scritto da Ben Jonson nel 1606, rappresenta un apologo sulla corruzione di una società opulenta. Una girandola sarcastica di vizi, abiezioni e meschinità raccolti attorno a un tema di forte risalto grottesco: la gara tra gli aspiranti eredi di un anziano riccone, maestro dell’accaparramento a scapito di altrettanti mostri di avidità. Fingendo di essere in fin di vita, giungono al suo capezzale i presunti amici portando doni, nella speranza di essere nominati eredi. Le invenzioni a getto continuo del finto moribondo sono da lui rivoltate in truffaldina simpatia, rovesciando semmai sul servo Mosca, suo complice e parassita, il peso maggiore delle scelleratezze. Fino a quando l’inganno è scoperto e ognuno paga le proprie colpe. Glauco Mauri, regista e interprete, prende alla lettera la frase di Jonson “Dire cose utili divertendo” e fa del suo bellissimo Volpone una metafora dell’arte dell’attore, nella sua grammatica di travestimenti e finzioni. Dentro un apparato barocco dove campeggia un enorme letto poggiato sopra forzieri traboccanti oro e preziosi, egli dirige le sue malefatte, assecondato dal servo Mosca, interpretato da un magistrale Roberto Sturno. Su di lui, erede e beffatore, si chiude la scena. Mentre risuona il monito del vecchio gabbato, sul castigo che prima o poi si abbatte sulla malvagia avidità dell’uomo. Al Quirino di Roma, e in tournée.

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