Ma la solidarieta’ e’ ancora solida?

Ad Arezzo, alla recente Conferenza nazionale sul volontariato – che doveva rappresentare un momento di apertura e dialogo – non è cambiato granché il rapporto tra volontariato e istituzioni: non era idilliaco prima, lo è meno ancora adesso. Eppure l’impegno di solidarietà verso le fasce deboli della popolazione è un patrimonio irrinunciabile e che dà sapore e sostanza alla società. Tuttavia, nell’attuale scenario agrodolce della società italiana, molti si interrogano sulla solidarietà organizzata e sulle nuove sfide che si presentano al volontariato. Per orientarci meglio, ci siamo rivolti a mons. Giovanni Nervo, grande esperto, memoria storica e vitalissimo protagonista delle politiche sociali, appartenente alla categoria dei “terribili” ottantenni, artefice fin dalla nascita della Caritas Italiana e ora presidente emerito del Centro studi sociali “Zancan”. Mons. Nervo, cosa accade al volontariato? “Credo di poter dire con fermezza che il volontariato deve riflettere su quello che è avvenuto ad Arezzo, deve ricomprendere il profondo significato della sua presenza nella società ed è necessaria la sua piena e totale autonomia dal potere politico ed economico. Ne va della sua sopravvivenza “. Sotto la spinta economicistica che investe la società, il volontariato sta vivendo una rapida evoluzione verso l’impresa sociale, il non profit. Cosa le sembra? “Le rispondo con alcuni dati di fatto. Il ministro Maroni, nell’audizione alla commissione Affari sociali della Camera, presentando il 17 luglio dello scorso anno le linee programmatiche del governo in riferimento alle politiche sociali, comunicava l’intenzione di fondere le tre leggi sul volontariato, sulla cooperazione sociale, sull’associazionismo sociale in un testo unico del non profit. Più avanti diceva che “l’attuazione del principio di sussidiarietà in direzione orizzontale consentirà allo stato di investire il settore del non profit di crescenti responsabilità per fornire ai cittadini che versano in condizioni di bisogno risposte adeguate da parte di strutture che hanno capacità, professionalità e motivazioni ampiamente sufficienti a garantire livelli di performance più elevati a livello europeo e non solo”. Non si parla mai di volontariato, ma solo di gestione di servizi da parte di enti non profit”. In questa fase delicata per lo stato sociale come si presenta il volontariato? “I dati del censimento 2001 condotto dall’lstat sul non profit e dalla Fivol sul volontariato, parlano di “quasi 2.500.000 italiani mobilitati sul mondo del volontariato organizzato”. Dentro a questo universo, però, che si continua a chiamare “mondo del volontariato”, I’lstat trova oltre 220 mila realtà del terzo settore in cui sono impiegati 630 mila lavoratori. “L’indagine della Fivol trova 20 mila associazioni di volontariato con 768 mila volontari, ma quelli che forniscono un apporto con continuità sono 438 mila! In questo numero sono compresi 24 mila dipendenti, di cui 10 mila collaboratori e 14 mila persone che ricevono rimborsi spese forfettari, mentre la legge dice che tutti i volontari hanno diritto al rimborso delle spese effettivamente sostenute. “Mi sembra dunque che sia giusto dire che stiamo assistendo ad una evoluzione del volontariato verso l’impresa sociale, l’economia sociale, il non profit”. Come giudica questa evoluzione? “È un male? Penso di no. Ci sono certamente degli aspetti positivi in questa evoluzione. Mentre il volontariato sta invecchiando – volontari prevalentemente fra i 46 e i 55 anni – le nuove forme del non profit raggiungono i giovani. Inoltre, si creano posti di lavoro. Si dà maggiore spazio alla libera iniziativa delle persone. “Il modello dell’impresa sociale non profit è il superamento sia dell’impresa pubblica statale, sia dell’impresa capitalistica. Infatti si tratta di imprese a tutti gli effetti, destinate a produrre beni o servizi e a sopravvivere sul mercato solo nella misura in cui sono in grado di produrre utili, come tutte le imprese. La differenza è che esse si fondano sul cosiddetto “patto tra i membri” con la rinuncia al “profitto” come reddito personale derivante dalla loro partecipazione all’impresa”. Ma come immaginare questa prospettiva di largo respiro e far sì che non rimanga una utopia? “Occorre che si realizzino alcune condizioni. Primo, che le imprese non profit siano realmente efficienti e producano servizi efficaci. Chi conosce la realtà attuale di molte cooperative sociali, particolarmente quelle di solidarietà sociale, sa che la precarietà del lavoro, la rimunerazione inadeguata, il conseguente frequente turnover non facilitano la qualificazione professionale degli operatori, né la qualità delle prestazioni; chi paga sono gli utenti dei servizi e gli operatori. Questa situazione si supera soltanto con normative adeguate, con la formazione, con la retribuzione corrispondente alle responsabilità affidate. “Secondo, che il non profit, insieme ai suoi valori, riconosca anche i suoi limiti. Il non profit, che è libera iniziativa della società civile, non può garantire i diritti dei cittadini: c’è se c’è, dove c’è, se può, se vuole. Le funzioni di programmazione, di coordinamento delle risorse, di vigilanza e controllo, esercitate in modo partecipato in tutte le fasi e a tutti i livelli, non possono non essere esercitate dall’ente pubblico e non sono delegabili se si vuole garantire i diritti fondamentali a tutti i cittadini e il bene comune”. Quali sfide attendono, secondo lei, il volontariato in Italia oggi? “Se vuole mantenersi in buona salute, il volontariato deve anzitutto conservare la sua identità originaria, che è la gratuità, che può essere compromessa da due fattori: l’affacciarsi di varie altre forme ispirate alla solidarietà sociale (cooperazione sociale, enti non profit, onlus, ecc.) che vengono chiamate volontariato, ma che, almeno largamente, volontariato non sono. La linea dell’attuale governo di fondere le tre leggi su volontariato, cooperazione sociale e associazionismo di promozione sociale in una sola legge sul non profit, renderà più difficile al volontariato mantenere la sua identità originaria. “L’altro fattore è costituito dai soldi, oggi più abbondanti di ieri, necessari ma pericolosi: di soldi, il volontariato, può anche morire, perché può attenuarsi o venir meno il valore della gratuità”. Dunque non dimenticare i valori originari. “La seconda sfida è proprio quella di salvare, con il contributo dei suoi valori, l’anima del non profit, che pure è nato da princìpi di solidarietà. È evidente negli ultimi anni un’evoluzione: dal volontariato alla cooperazione sociale, al non profit, alla economia sociale. Però il non profit corre il rischio di perdere i suoi valori di fondo, la sua anima e di scivolare inevitabilmente nel profit”. Vi sono altre sfide che auspica? “Ne vedo senza dubbio un’altra: la tutela dei diritti dei soggetti deboli. In una società improntata sull’individualismo, che fonda i suoi valori sull’impresa e sul mercato, i soggetti deboli saranno sempre più emarginati. Di qui l’attualità, l’importanza e la necessità che un volontariato autentico si metta dalla parte dei più deboli, ne condivida i problemi e le sofferenze e ne tuteli la dignità e i diritti. “Per affrontare efficacemente queste sfide il volontariato ha bisogno di intensa formazione sul piano delle motivazioni, delle capacità di lavoro, della formazione politica. Il volontariato non è soltanto opera di manovalanza: anche un docente universitario, un direttore di azienda, un avvocato, possono ritagliare un po’ del loro tempo e dei loro guadagni per dare un supporto qualificato al volontariato perché si renda capace di affrontare le sfide che la realtà sociale di oggi gli pone”.

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