L’ultimo pizzino per Provenzano

È morto assieme ai suoi segreti uno dei capi più temuti di Cosa nostra, latitante per 43 anni e mediatore nella trattativa Stato-mafia dopo le stragi. Un padrino vecchio stile che mescolava sangue e fede senza apparente rimorso
Bernardo Provenzano il giorno della cattura nel 2006 foto Ansa.jpg

L’ultimo colloquio con i figli, ripreso dalle telecamere del carcere di Parma dove scontava il 41bis, lo mostrano confuso, impreciso, sfuggente nelle risposte. Bernardo Provenzano, il ragioniere della Mafia spa, l'uomo che per 43 anni era riuscito a farla franca con polizia e carabinieri alle calcagna, il padrino che dialogava con politici e affaristi non ricorda il sacchetto di plastica che gli agenti gli avevano trovato in testa e che la stampa aveva etichettato come tentato suicidio.

 

In quei pochi minuti ripresi dalle telecamere c’è tutta la sua fragilità di ottantenne data in pasto al pubblico come prova della sua incapacità di nuocere o forse come umiliante fotografia di un capo temuto e onorato e ora anziano e molto malato. Provenzano è morto a 83 anni in una corsia dell’ospedale San Paolo a Milano dove era ricoverato dall’aprile del 2014 a seguito di una caduta e dell’aggravarsi di un tumore.


Con lui sono morti i suoi segreti, quegli sugli anni bui della nostra democrazia, che tentò un compromesso per fermare la mattanza di uomini dello Stato ordinata da Riina e scongiurata da Provenzano che preferiva il silenzio al clamore per condurre meglio i suoi affari senza sollevare polveroni.


Ricordo da cronista quella corsa in questura a Palermo, il giorno del suo arresto, l'11 aprile del 2006. Con gli altri giovani colleghi cercavamo di farci strada tra la folla e le forze dell’ordine per riuscire a vederlo, ma si rivelò impresa impossibile. Fu la tv a rivelarcene il volto, i connotati apparentemente innocui, quel sorriso tra l’ironico e il compiaciuto. Fu però Michele Prestipino, allora sostituto procuratore della Direzione distrettuale antimafia di Palermo a svelarcene l'astuzia e l'intelligenza, decifrando le centinaia di pizzini che il boss usava per comunicare i suoi desiderata: erano il suo codice esecutivo.

 

Saluti, ordini, auguri, messaggi cifrati riportavano spesso citazioni bibliche o invocazioni divine o nomi sacri desunti dalla Bibbia che custodiva nel suo covo. Ma quale Dio conosceva Provenzano, quale fede animava la sua vita, le sue sentenze di morte, i suoi affari illeciti? Ora quale Dio sta conoscendo o ha riconosciuto in questo momento ultimo dell'esistenza umana, che resta sempre un mistero per noi che ancora ne siamo esterni osservatori? E la sua fede presunta o autentica, quali risposte avrà trovato? Quella tenerezza che non lesinava ai familiari e che gli era avulsa davanti a chi da nemico meritava la morte, gli sarà stata elargita in questo incontro con il sacro e forse con la consapevolezza ultima del bene e del male compiuti?

 


Sono domande su di lui, ma sono domande anche per noi che sulla legalità non manchiamo talvolta di fare sconti, dimenticando le ferite che si procurano al vivere civile. Mentre il questore ha vietato i funerali pubblici a Provenzano per motivi di ordine pubblico, la moglie e figli hanno deciso la cremazione del suo corpo – fatto inedito nella storia di Cosa Nostra che sulla venerazioni da vivi e da morti dei suoi padrini ha costruito la sua aurea. Il vescovo di Monreale alla cui diocesi è legata Corleone, città natale del boss, non nega la possibilità di una preghiera privata, magari al cimitero, anche se non è noto dove saranno deposte le ceneri.

 

La preghiera non è negata all’uomo Provenzano anche se la mafia continua a restare “incompatibile con il Vangelo” come aveva ribadito con forza papa Ratzinger durante la canonizzazione di don Puglisi. E come ha continuato a fare Bergoglio con  la pubblica scomunica dei mafiosi, ma da uomo di misericordia ha ricordato agli affiliati che: "La Chiesa vi accoglie se come pubblica è stata la vostra scelta di servire il male, chiara e pubblica sarà anche la vostra volontà di servire il bene".

 

A Provenzano non è appartenuta la pubblica ammenda e non sappiamo se solo per scelta o se le precarie condizioni di salute non hanno consentito una virata alla sua vita, ma alla Chiesa, a chi crede e a chi non crede, appartiene il sentimento della pietà, della partecipazione commossa e intensa al dolore e alla sofferenza e quello non va smarrito mai, neppure di fronte ad un padrino, anzi è proprio su queste barricate complesse della vita che la vittoria del bene sul male deve avere l’ultima parola e scrivere il pizzino definitivo.

I più letti della settimana

Chiara D’Urbano nella APP di CN

La forte fede degli atei

Mediterraneo di fraternità

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons