Luci e ombre sulla guerra in Yemen

Il senato Usa vota per fermare la collaborazione militare con l’Arabia Saudita, in Svezia si conclude un accordo parziale tra le parti in conflitto nello Yemen. Mentre a Roma si invoca il realismo delle armi e ad Iglesias si propone un ponte di solidarietà
Paul Morigi/AP Images for Avaaz

Il 13 dicembre, conosciuto nel nostro emisfero come il giorno più buio dell’anno, nel 2018 si è accesa qualche luce sulla guerra in corso in Yemen, definita dall’Onu, il più grave disastro umanitario in corso oggi nel mondo con migliaia di morti e il flagello del colera.

Nonostante la strenua opposizione del segretario Mike Pompeo e del segretario alla Difesa, generale James Mattis, il Senato statunitense ha approvato in maniera bipartisan la mozione, presentata dal senatore Bernie Sanders, favorevole a interrompere ogni assistenza militare all’Arabia Saudita nel conflitto in corso in Yemen.

Come sottolinea nella sua pagina Facebook l’anziano leader della sinistra del partito democratico Usa, «è la prima volta in assoluto che il Senato ha votato per porre fine a una guerra non autorizzata». Il disagio sui rapporti di alleanza militare con l’Arabia Saudita è cresciuto ultimamente dopo l’orribile omicidio, avvenuto nel consolato saudita in Turchia del giornalista Khashoggi, editorialista del Washington Post, residente negli Stati Uniti, ma la denuncia delle vittime civili della guerra in Yemen è sempre stata sulla prima pagina di quotidiani autorevoli come il New York Times. Compresa una documentata inchiesta sull’invio alla coalizione saudita delle bombe d’aereo fabbricate dalla Rwm in Italia.

Nello stesso giorno, come riporta l’agenzia Ansa, il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres ha annunciato che nel castello Johannesberg di Rimbo, in Svezia, i rappresentanti degli insorti Huthi, sostenuti dall’Iran, e quelli delle forze lealiste yemenite, sostenute dalla coalizione a guida saudita, «hanno raggiunto un accordo per il cessate il fuoco nella città portuale di Hudayda, sul Mar Rosso, e il ritiro delle truppe dal porto».

I dettagli dell’accordo verranno definiti in una seconda sessione di gennaio 2019, ma sembra già un buon segnale considerando che in quel porto passa l’80 per cento degli aiuti umanitari per tutto lo Yemen, Paese da dove arrivano immagini strazianti di bambini che muoiono di fame e mancanza di cure, come ha testimoniato Roberto Scaini, medico di Medici senza frontiere, presso il Senato italiano lo scorso 28 novembre 2018.

Già. E l’Italia?  La sera del 13 dicembre presso la Camera dei Deputati il Centro studi politici e strategici Machiavelli, alla presenza del sottosegretario agli Esteri Guglielmo Picchi, ha promosso un’interessante conferenza stampa per illustrare un report su “Le spese militari in Arabia Saudita” della ricercatrice Annalisa Triggiano. Valutazioni comparative e prospettive future da cui emerge, oltre a molti altri aspetti che meritano approfondimento, il decisivo ruolo di sviluppo per la nostra economia di un rapporto più stretto con l’Arabia Saudita.

Nel suo intervento di commento al rapporto, il generale Giuseppe Morabito, già direttore della Middle East Faculty del Nato Defence College, ha invitato a relativizzare il peso delle risoluzioni del Parlamento europeo che invitano a fermare l’invio di armi verso l’Arabia Saudita. La Francia, ad esempio, nostra diretta concorrente nel settore, sta organizzando proprio in quel Paese, per il prossimo marzo 2019, uno dei grandi appuntamenti mondiali del settore dell’industrie militari.

Mentre gli Stati Uniti, visti gli interessi in campo e i contratti miliardari, sapranno senz’altro superare l’imbarazzo dello scandalo Khashoggi. Il deputato Guido Crosetto, già sottosegretario alla Difesa con Berlusconi e presidente dell’Aiad (Aziende italiane per l’aerospazio, la difesa e la sicurezza) ha sottolineato, con osservazioni significative sul quadro della instabilità internazionale, l’importanza del comparto degli armamenti in una prospettiva strategica di politica estera, tanto che l’ufficio preposto all’autorizzazione alla vendita di armi nel mondo riporta al ministero degli Esteri.

Il sottosegretario agli esteri, il leghista Picchi, con delega, tra l’altro, alla Nato e ai materiali d’armamento, ha sottolineato la necessità di superare ogni pregiudiziale di carattere ideologico per sottolineare l’interesse del nostro Paese a giocare un ruolo inevitabile sul quadrante mediorientale.

Ad una domanda sul problema politico delle bombe in partenza da Rwm Italia verso l’Arabia Saudita, Crosetto ha minimizzato il peso del nostro impegno (ma la fabbrica ha chiesto di allargarsi come sanno i lettori di Città Nuova), mentre il generale Morabito ha invitato a considerare che, ad ogni modo, le armi arriveranno comunque in quella zona e quindi ha poco senso privarsi di un’occasione importante per le nostre industrie, altrimenti destinate alla crisi e alla chiusura. Silente sulla questione l’esponente governativo.

Questo il quadro della situazione dal Senato Usa al nostro Parlamento che sarà all’esame dell’incontro promosso il prossimo 19 dicembre presso gli uffici italiani del Parlamento europeo nel segno di Giorgio La Pira. Cioè di un politico siciliano, sindaco di Firenze, lontano dalla logica dell’altro fiorentino, il Lorenzo Machiavelli che sembra fare scuola nel nostro Paese.

Anche se ad Iglesias, in Sardegna, luogo dove la produzione di bombe vorrebbe espandersi, l’11 dicembre 2018 il comitato riconversione Rwm ha promosso un concerto di solidarietà con la popolazione yemenita grazie all’intervento del musicista Gavino Murgia.

Un’occasione per parlare della bellezza leggendaria di un Paese poco conosciuto, con il quale un pezzo di società italiana vuole stringere rapporti di fraternità. Per il giurista La Pira gli Stati non hanno diritto di distruggere le città.

 

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