L’Italia dei porti aperti

Intervista al coordinatore della Caritas di Benevento, Angelo Moretti, a proposito della proposta del progetto di accoglienza e integrazione come modello offerto ai comuni italiani. Incontro di presentazione il 10 luglio presso la sede dell'Anci

Martedì 10 luglio presso la sede dell’Associazione nazionale dei comuni italiani, a Roma, si presenta un’  “Italia che non ti aspetti” come proposta articolata nel campo dell’accoglienza dei migranti, delle politiche sociali collegatae ad una concezione di economia civile al servizio del bene comune.

Si può decidere,infatti, di essere un porto che accoglie senza trovarsi per forza sul mare. Ogni territorio può scegliere di impedire l’accesso ai naviganti e ai naufraghi o fare della capacità di includere e integrare una leva per moltiplicare le occasioni di crescita culturale ed economica utilizzando gli strumenti già esistenti in Italia. Nello stesso Paese cioè dove organizzazioni criminali hanno trovato il modo di fare affari sulla pelle dei migranti assecondando una logica emergenziale che fa aprire centri di raccolta al posto degli Sprar e cioè il sistema di rete intelligente e capillare che ha bisogno di trovare la disponibilità e la scelta esplicita delle amministrazioni locali per poter funzionare.

Recentemente, dal 18 al 20 maggio, si è svolto a Benevento il “Festival dei porti di terra” come espressione diffusa di un percorso che mette assieme studiosi di welfare locale, piccoli comuni, cooperative, giornalisti di inchiesta, artisti e volontari coinvolti dal motore propulsivo della Caritas diocesana che ha il suo quartier generale, una vera e propria cittadella “Evangelii gaudium, in un ex convento francescano in disuso. Più che un festival si è trattato di un giubileo itinerante tra diverse località, di prevalente ambiente agricolo, che si rivelano una riserva di umanità e di saperi da scoprire. Non si tratta tuttavia di un fenomeno locale, limitato ad una delle tante provincie d’Italia dimenticate dai media, ma di un modello di avanguardia da replicare e far crescere in contesti diversi. Non è certo per un caso che alla manifestazione nel Sannio sia intervenuto il presidente dei vescovi italiani, cardinal Gualtiero Bassetti, per sottolineare l’emergere di realtà che fanno rivivere la vivacità e profezia del cattolicesimo sociale capace di partire e costruire dal basso più che da progetti e strategie da tavolino. Questa realtà, già conosciuta e apprezzata sui media come esempio di buona pratica, verrà presentata come occasione di dialogo il 10 luglio a Roma, tra il responsabile dell’area Welfare dell’Anci,Luca Pacini, il vicedirettore di Caritas italiana,  Paolo Beccegato, il presidente della Fondazione Symbola, Ermete Realacci, e l’economista Leonardo Becchetti, assieme al sindaco di Pietrelcina, Domenico Masone.

Ne abbiamo parlato con Angelo Moretti, coordinatore della Caritas beneventana e direttore generale della rete “Sale della Terra-Onlus“.

Una manifestazione come quella dei “Porti di terra”, capace di affrontare tanti temi decisivi con interlocutori nazionali di grande spessore e varietà, come si spiega la ricchezza delle reti sociali presenti sul territorio sannita?

Penso che il grande valore attribuito ad un piccolo Festival di provincia incentrato sulla “terra” derivi dalla considerazione di come il mondo rurale, ed in genere quello marginale dei piccoli centri, abbia contribuito in modo notevole agli sconvolgimenti di equilibri mondiali. Tutte le analisi dei fenomeni elettorali più importanti degli ultimi due anni, dalla Brexit all’elezione di Trump, come anche il grande successo raggiunto per la prima volta dalla Lega in tutta Italia, ci restituiscono un dato importante: la rottura dell’equilibrio del vecchio sistema è avvenuta esattamente nel punto in cui la gente si è sentita più dimenticata dal sistema stesso. Il mondo rurale ed in generale il mondo marginale, distante dai grandi centri metropolitani, quel mondo aggredito da decenni di mancanza di progettualità caratterizzata da fenomeni globali che nel micro dimostrano la loro forza distruttiva: denatalità, spopolamento, desertificazione sociale, disoccupazione cronica, quel mondo ha reagito collegandosi inconsapevolmente e facendo “rete” fino a determinare le sorti della democrazia mondiale. Si veda, in tal senso, l’analisi compiuta nell’ultimo saggio di Marco Revelli, Populismo 2.0.

Un percorso dai margini al centro?

Esatto. Si è prodotto un rapporto inverso. Il mondo dei margini che vuol parlare  di progettualità al mondo intero, a partire dalle reti di accoglienza e dei progetti #Welcome, ha certamente attirato l’attenzione dei media e degli intellettuali più accorti e più inquieti di fronte alla condizione attuale della democrazia. Una ulteriore ragione della grande attenzione ricevuta dal Festival è da rintracciare, probabilmente, nella grande sfida aperta dalla possibilità di provare ad attuare la Laudato Sii di papa Francesco, collegando i temi del welfare a quelli dell’ecologia e dello sviluppo, l’accoglienza dei migranti ad un nuovo umanesimo sociale che possa partire dalle piccole comunità operose. Queste tematiche sono già di grande interesse singolarmente, ma solo l’esercito dei “Piccoli Comuni” può avere l’ambizione di farle diventare in poco tempo un “progetto olistico”, interconnesso e non un insieme sparso di preoccupazioni.

Tra cooperative e associazioni, quante sono le persone coinvolte nel vostro progetto? Quante sono le professionalità riconosciute con un contratto di lavoro?

La nostra rete conta 14 cooperative (sociali, di Comunità, agricole) ed un’azienda impegnata nelle energie rinnovabili. All’interno di queste cooperative, impegnate sinergicamente nell’attuazione del Manifesto per una Rete dei Piccoli Comuni del #Welcome, lavorano oltre 190 persone, di cui circa il 70% sono sotto i 40 anni di età e la maggioranza di essi ha contratti a tempo indeterminato. Poi abbiamo dei volontari straordinari che condividono la missione del Manifesto mettendo a disposizione la propria grande professionalità nel campo della comunicazione, del management, dell’agricoltura, della formazione. Questi volontari, ed il volontariato di tanti operatori sociali che danno alla missione per gratuità molto di più di quanto dovrebbero dare per dovere contrattuale, sono il nostro Sale della Terra!

Come è nato il rapporto con Fondazione con il Sud  e quali sono i motivi di una collaborazione proficua? 

Il rapporto con Fondazione con il Sud nasce nel modo più semplice: la rete Sale della Terra ha sempre apprezzato l’alto valore sociale dei bandi di progettazione della Fondazione e le ottime procedure e tempistiche sia della valutazione che dell’erogazione e controllo dei fondi, dall’altra parte la Fondazione con il Sud ha apprezzato il contenuto ed il metodo delle nostre progettazioni,  premiandoci più volte nelle diverse gare. Abbiamo così potuto contare su una disponibilità di fondi che, nella sinergia con l’azione pastorale della Caritas di Benevento, sono stati il volano della rete consortile stessa e la chiave di volta per sperimentare il cambiamento desiderato: dai budget di salute all’accoglienza personalizzata dei detenuti fino al tema dell’immigrazione e, domani, con il fondo straordinario della povertà educativa, sul tema dell’adolescenza.

Questo modello di integrazione dimostra l’importanza di usare le risorse in maniera creativa e generativa, ma non sembra che la priorità politica, a partire dall’ultimo consiglio europeo, sia un’altra?

Credo che l’Italia debba rivolgersi al bacino Mediterraneo come ad un partner strategico (l’unico che ha davvero fatto la sua grandezza nei secoli) e non come ad un possibile nemico da cui difendersi, fino ad arrivare alla chiusura dei porti anche a costo di far morire uomini, donne e bambini. A me pare che le conclusioni del consiglio europeo di fine giugno aprano alla militarizzazione dei confini in Africa e gli accordi con stati precari e fatti fallire dall’Europa stessa, come la Libia. Senza spendere una parola sui sistemi economici disastrosi con cui l’Europa stessa impoverisce continuamente l’Africa e sulla vendita delle armi alle fazioni in lotta tra loro. Mi chiedo: è questa l’Europa che vogliamo? Con la nostra esperienza che abbiamo l’ardire di presentare ai comuni italiani riteniamo di poter dare un contributo politico in senso alto, in linea con gli ideali europei di nazioni uscite da secoli di guerre e di inimicizia.

Sul progetto della rete dei comuni del Welcome è uscito per i tipi di Città Nuova il testo “L’italia che non ti aspetti“.

 

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