Linea morbida a Siviglia

Ci si aspettava che dal vertice europeo di Siviglia uscisse una risoluzione dura verso gli immigrati clandestini: quella cioè che ciascuno stato, preso singolarmente, non aveva il coraggio di imboccare.A causa del veto francese è uscito invece un controverso compromesso che riduce le minacciate ritorsioni economiche a semplici “pressioni” sui paesi di partenza degli immigrati che non collaboreranno a disciplinarne il flusso. Lungi dal voler diventare una fortezza inespugnabile, l’Europa vuole continuare ad essere una terra di accoglienza, ma nell’ordine e nella legalità. Anche per evitare quei fenomeni di rigetto che si manifestano sempre più di frequente. Entro il 2002 sarà comunque operativo un primo nucleo di polizia europea per operazioni congiunte di pattugliamento ai confini. Il presidente Prodi, in chiusura, ha definito la linea assunta a Siviglia né morbida né dura, ma efficace perché affronta tutti gli aspetti del problema. Ed è stata decisa col consenso di tutti. L’immigrazione non pone infatti soltanto questioni di ordine pubblico, come dimostra il percorso che la cooperazione tra governi europei in tema di immigrazione ha compiuto a partire dagli anni Settanta, sia pure al di fuori del quadro istituzionale comunitario. Ancora col Trattato sull’Unione europea di Maastricht, entrato in vigore il 1° novembre 1993, pur venendo identificata come materia di interesse comune, la cooperazione sull’immigrazione e sul controllo delle frontiere non viene affrontata attraverso le direttive e i regolamenti, cioè con i tipici strumenti della politica comunitaria, ma si lascia agli accordi tra i governi e a quegli organi dell’Unione nei quali i governi hanno una diretta partecipazione. Soltanto col Trattato di Amsterdam (in vigore dal 1° maggio 1999) la questione dell’immigrazione viene “comunitarizzata”, e cioè maggiormente sottratta alle decisioni sovrane dei singoli stati. Dal 1998 ad oggi, numerosi sono stati gli atti del Consiglio, della Commissione e del Parlamento europei che si sono occupati di immigrazione, tendendo alla costruzione di strumenti comuni e a una crescente unificazione della politica immigratoria dell’Unione. Tra tutti, va sottolineato il Consiglio europeo di Tampere, che nel 1999 ha impostato la politica europea sull’immigrazione come una politica di carattere globale, che deve cioè impegnarsi non soltanto nel controllo dei flussi migratori, ma anche dei diritti umani degli immigrati e dello sviluppo dei paesi di origine dell’immigrazione: si afferma cioè il principio di uno sviluppo comune all’Unione e ai paesi degli immigrati, da perseguire attraverso la promozione di un efficace parternariato tra gli stati. Sotto la presidenza finlandese, il Consiglio ha affermato non solo la necessità di una lotta comune da parte degli stati membri contro l’immigrazione illegale, ma anche il principio di una effettiva integrazione degli immigrati, che garantisca loro diritti e doveri analoghi a quelli dei cittadini Ue, fino alla possibilità di ottenere la cittadinanza dello stato nel quale risiedono in maniera prolungata. La successiva Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea ha stabilito (art. 15, par. 3) la parità delle condizioni di lavoro tra immigrati e cittadini Ue, e la libertà di circolazione e di soggiorno per gli immigrati che risiedono legalmente in territorio Ue (art. 45). Ricordiamo ancora che la Comunicazione della Commissione europea n°757 del 2000 ha sottolineato la necessità di affrontare il fenomeno immigratorio tenendo conto della sua dimensione umanitaria, rispettando le identità etniche e culturali e rispettando i legami culturali con i paesi di origine. Come si vede, il percorso compiuto dall’Unione europea in tema di immigrazione attesta che, a fianco delle preoccupazioni legate alle necessità economiche e di sicurezza, esiste la consapevolezza che vanno congiuntamente affrontati anche i temi dello sviluppo comune mondiale e del dialogo tra le culture.

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