Libia: l’avvertimento delle milizie

Allarmismo nei media occidentali su un rischio di golpe a Tripoli, dove il 15 dicembre alcune milizie hanno circondato la sede del governo ad interim presieduto da Abdelhamid Dbeibah. Si trattava di un avvertimento dei signori della guerra, che sembra per ora rientrato.
Abdelhamid Dabaiba (AP Photo/Matt Dunham)

L’allarme è scattato a Tripoli la sera di mercoledì 15 dicembre. Alcuni palazzi dell’amministrazione e la sede del governo ad interim libico sono stati circondati con i blindati e tenuti sotto controllo da miliziani armati. All’inizio si è temuto trattarsi di un tentativo di golpe, ma ben presto si è chiarito che così non era: i miliziani delle brigate Nawasi e Ghneiwa, probabilmente affiancati anche da quelli della Samud (detta anche Fakhr Libya, fierezza della Libia), capitanata dal sanzionato (dall’Onu) Salah Badi, hanno voluto dare soltanto un avvertimento al presidente del Consiglio presidenziale al-Menfi e al premier ad interim Dbeibah. Il presidente al-Menfi, che in questa fase di transizione svolge anche il compito di Comandante supremo delle forze armate, si era infatti “permesso” di sostituire il comandante del distretto militare di Tripoli, Abdel Basset Marwan, vicino alle milizie locali, nominando al suo posto il generale Abdelqader Mansour Khalifa, probabilmente ritenuto troppo filo-turco e forse vicino ai Fratelli Musulmani, sebbene dotato di un curriculum ineccepibile.

Muʿammar Gheddafi (Fonte: LaPresse)

Le milizie di Tripoli e Misurata, per quanto accettate dal governo, sono delle galassie autonome nella Libia degli ultimi 10 anni. A metterle in riga ci aveva provato senza successo anche Fathi Bashaga, attuale candidato alla presidenza della Libia ed ex ministro dell’interno del Gna al tempo di Fayez al-Sarraj. A proposito di elezioni di un nuovo capo dello stato libico, previste dagli accordi di un anno fa per il prossimo 24 dicembre, è ormai evidente che non si faranno. I motivi di questo rinvio sono vari, ma il primo di tutti è certamente il fatto che la commissione elettorale (Hnec) che doveva definire la lista dei candidati alla presidenza della repubblica non è riuscita a farlo. Ci sono una settantina di candidati, anche se solo alcuni con qualche possibilità, e fra loro c’è anche il figlio secondogenito di Gheddafi, Saif al-Islam, inviso a diversi capi miliziani, che gode però, a quanto pare, del consenso di diverse tribù rimaste fedeli all’ex raìs che ha governato la Libia per più di 40 anni. Ci sono poi i gruppi libici contrari ai nostalgici gheddafiani, che hanno manifestato il 7 dicembre scorso a Tripoli chiedendo di definire, prima del presidente, la nuova Costituzione. Se a questi motivi di prima istanza si aggiunge, appunto, che ad alcuni signori della guerra (quelli che contano) l’idea di un presidente che limiti i loro poteri (e proventi) non va giù per niente, e che sono pronti a schierare i loro piccoli eserciti per scongiurare la sua elezione, il gioco diventa un po’ più chiaro.

Un lavoratore petrolifero libico (Fonte: LaPresse)

A proposito di “proventi”, tutto questo darsi da fare delle milizie significa in fin dei conti controllare il petrolio: pozzi e trasporti. Per fortuna esiste in Libia un’azienda petrolifera nazionale (Noc) che negli ultimi mesi ha destinato al governo ad interim qualcosa come 17 miliardi di dollari, in buona parte grazie all’aumento di prezzo del barile. E il 97% delle entrate dello stato vengono dal petrolio. Ma bisogna aggiungere che la produzione attuale di 285mila barili al giorno è solo l’ombra delle possibilità libiche: prima del 2013 il petrolio forniva entrate allo stato nell’ordine di 40-45 miliardi di dollari l’anno, e la produzione superava abbondantemente il milione di barili al giorno. Inoltre l’azienda petrolifera (Noc) segnala le negligenze dei governi di guerra fin qui succedutisi: ci sono circa 9 mila dipendenti del settore petrolifero senza stipendio da tempo e il deficit del budget destinato ai loro stipendi è di almeno 110 milioni di dollari. Mancano però non solo soldi per gli stipendi ma anche per le strutture industriali, ormai ampiamente obsolete e carenti di manutenzione. Le perdite di produzione e i prelievi per finanziare la guerra hanno portato ad una situazione che ormai rischia il tracollo se non vi pone rimedio un governo di una qualche stabilità. Per ora l’approvazione del bilancio dello stato è sempre stata sospesa e rimandata, ma non si può certo continuare così.

Un fatto che appare più accettato, rispetto alla roadmap per dare alla Libia le istituzioni unitarie che non ha, sembra essere l’elezione della nuova assemblea nazionale. Dopo la mancata consultazione per il presidente, che la maggioranza delle forze in gioco non vuole, si pensa alla consultazione popolare per la definizione dei membri del nuovo parlamento, sempre che i centri di potere che orientano i voti lo consentano. E questo potrebbe avvenire nella prossima primavera, a quanto pare. Un parlamento che rispecchi gli interessi presenti nel Paese appare forse ora più abbordabile della nomina di un presidente o dell’allontanamento dei contractors stranieri, soprattutto turchi e russi. Auspicando che sia poi possibile la formazione di una maggioranza in grado di procedere sia alla riforma della Costituzione che nel definire un governo e, in ultima istanza, di mediare l’elezione di un presidente.

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