Libano, di nuovo al bivio

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Il Libano è un Paese antico, la sua gente in gran parte saggia e paziente. Riuscirà la volontà di pace sociale e la voglia di futuro del popolo libanese a sostenere la nuova, terribile prova del vile assassinio di Pierre Gemayel? A giudicare dalle prime reazioni e dalle pacifiche manifestazioni, c’è da sperarlo. Non v’è dubbio che forze oscure, all’interno ed all’esterno del Libano, sono alacremente al lavoro per sabotare la rinascita del Paese dei cedri. Iniziata con il movimento del 14 marzo, nato dallo sdegno popolare per l’omicidio di un’altra figura simbolica del desiderio di libertà e di indipendenza del Libano, Hariri. Ora un tribunale internazionale dovrebbe avviare, con l’accordo del governo libanese, un’inchiesta che promette di portare lontano, fin forse a Damasco. Gemayel era un sostenitore, nel governo Siniora, di questa scelta coraggiosa. La chiave del suo assassinio potrebbe essere proprio qui. Dopo gli eventi delle ultime settimane, iniziati con l’uscita dal governo dei ministri di Hezbollah, la situazione interna in Libano si è fatta preoccupante. Molti si chiedono se gli Accordi di Taif, che hanno sancito il pluralismo nella presenza all’interno delle istituzioni di tutte le componenti del mosaico libanese, reggeranno e per quanto tempo. In caso di destabilizzazione, tutto verrebbe rimesso in discussione. Le ripercussioni potrebbero riguardare anche la missione di pace Unifil nella quale l’Italia ha impegnato 2500 uomini e di cui nel 2007 assumerà il comando. Il quadro internazionale non è meno preoccupante. Da un lato, il ruolo della Siria, che non pare affatto interessata ad un Libano pacificato, per farne una spina nel fianco ad Israele e per porre sul tappeto la contropartita del recupero delle alture del Golan perse nella guerra del 1967. Dall’altro, la saldatura tattica se non strategica tra l’Iran e la Siria. Sullo sfondo, la grande questione irrisolta, quello dello Stato palestinese, da coniugare ovviamente con la sicurezza di Israele. Quello che è certo, è che a questo punto il processo di pace non basta più, e c’è urgente bisogno di un piano di pace. Siamo in ritardo, ma per la pace in fondo non è mai troppo tardi.

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