L’era dell’eccesso
Nel 2000, il futurologo statunitense Jeremy Rifkin pubblicò un libro intitolato L’era dell’accesso, in cui preconizzava una società nella quale dal mito della proprietà si sarebbe passati a quello dell’accesso. “Sempre connessi” era lo slogan da lui proposto: la rivoluzione digitale ci avrebbe portato a rimanere sempre connessi e quindi ad avere accesso al sapere, al commercio, all’arte, a tutto. Qualcosa del genere sta in effetti realizzandosi, ma ancor più sembra che si sia entrati in un’era dell’eccesso, non dell’accesso.
Basta guardarsi attorno, ed ecco che l’eccesso si materializza: nei media, come nelle trasmissioni televisive che perdono il senso del limite e della convenienza, per esempio proponendo stupidamente le ragioni che spingerebbero i maschi italici a scegliere le bellezze dell’Est europeo, carne ridotta a merce da matrimonio; nella politica, coi populismi che propongono vocabolari apocalittici contro musulmani e rifugiati, dimenticando che le nostre società non sono manichee (io sono il bene, tu sei il male) ma complesse (c’è del bene e del male in me, come anche in te); nella vita civile (o piuttosto incivile), come ad esempio nel perseverare della sfrontata presenza mafiosa, camorristica, della ndrangheta che se la prende con gli onesti; nella vita delle relazioni via smartphone, che ci porta a non saperci più staccare dai superficiali I like o dalla critica gratuita e feroce.
L’uomo e la donna del 2017 cercano in effetti l’eccesso, forse memori che la vita è in sé un eccesso, un “di più”, una vittoria dell’armonia e dell’ordine contro l’entropia, come dicono i fisici. Ma troppo spesso noi tutti ci sbagliamo, scegliendo quegli eccessi che non sono un “di più” ma un “di meno”: mancano di rispetto per la donna e per l’essere umano quei programmisti televisivi che riducono ucraine e bielorusse a semplici cose; difettano di finezza quei populisti che individuano nel migrante di Lampedusa o Lesbos la causa di tutti i mali; non eccellono in responsabilità coloro che attentano al bene comune con la corruzione e i commerci di droga e carne umana; sono succubi di un narcisismo primario coloro che annegano nello schermo del telefonino in attesa del bip di un presunto amico di Facebook.
Ammoniva profeticamente Elias Canetti: «La nostra origine è nel troppo. Ci muoviamo verso il troppo poco». Possiamo invertire la tendenza? Sì, scegliendo il campo dell’eccesso d’amore, generosità, misericordia e creatività, quello che genera vita; quando cioè è un “di più” quello che ci abita, quando amiamo “senza misura”. Mentre è il difetto d’amore che distrugge la vita, perché è un “di meno” che ci fa ripiegare su noi stessi, nell’entropia, che ci fa «amare misuratamente».