Leopardi immortale

A 200 anni dalla stesura dalla sua poesia più nota, il legame profondo del grande autore con la produzione cinematografica

«Sempre caro mi fu quest’ermo colle», inizia a declamare Peppino Impastato, in piedi, su una sedia, a capotavola di un affollato dopopranzo.

All’aperto, in un casolare di campagna dove tutto sembra bellissimo, perché è estate, ci sono le cicale, le piante e le pietre antiche. E invece il male lavora indisturbato nella carne di uomini al servizio di una piaga orribile chiamata mafia. «E questa siepe – continua spedito Peppino, ragazzino sveglio e rapido di pensiero – che da tanta parte dell’ultimo orizzonte il guardo esclude. Ma sedendo e mirando, interminati spazi di là da quella, e sovrumani silenzi, e profondissima quiete io nel pensier mi fingo, ove per poco il cor non si spaura».

Gli sguardi dei grandi pensano a come incanalare quell’intelligenza limpida, preziosa e pericolosa al tempo stesso. La mamma di Peppino ama suo figlio senza calcoli, gioisce per i suoi doni e spera che arrivi in scioltezza in fondo alla poesia. E Peppino non la deluderà, mentre Gaetano Badalamenti, il boss, ha il viso attraversato dall’inquietudine: tanto dinamismo interiore gli fa paura, è difficile da controllare, da domare, da assumere al proprio servizio. E non si sbaglia.

Dice tanto il fatto che il regista de I cento passi, Marco Tullio Giordana, ormai vent’anni fa, abbia voluto costruire un parallelo tra l’eroe civile Peppino Impastato e il genio artistico Giacomo Leopardi.

Dice dell’eterna modernità del poeta di Recanati, della sua capacità di guardare oltre il visibile, di entrare dentro qualcosa di più grande e di più bello del presente, del reale, del tangibile, qualcosa che fa sentire anche smarriti, ma che suscita desiderio e piacere, e questa capacità appartiene anche al ragazzo di Cinisi, che per i suoi sogni di libertà e di giustizia, per la sua capacità di guardare oltre la violenza dominante, di immaginare spazi nuovi, verrà massacrato dal potere criminale regnante nella sua terra.

È una pagina sottile, quella de I cento Passi, ma importante nel rapporto tra il cinema e l’immenso testo leopardiano, che proprio oggi, davvero tanto auguri, in forma smagliante festeggia i suoi primi 200 anni.

C’è un’altra pagina, più corposa, nota e recente – del 2014 – che ritrae il geniale creatore di pensieri: è Il giovane favoloso di Mario Martone, che dipinge un Leopardi completo nel suo rapporto tra corpo e anima, in quello delicato con le persone a lui più care: la madre, il padre Monaldo, i fratelli.

È un uomo immerso nel suo tempo, vissuto come claustrofobico e opprimente, per lui, miscela di mente e cuore attivissimi, che a soli vent’anni produssero la forza de L’infinito, opera nel film recitata dall’artista stesso, nell’interpretazione appassionata di Elio Germano, tra il vento e le fronde del colle nominato Monte Tabor, tra gli alberi di quell’altura rifugio, laboratorio creativo del giovane, isola ideale citata anche nell’idillio “Alla luna”, perché lassù, Giacomo Leopardi andava ad ammirare la luce notturna e la grazia del romantico satellite.

Il poeta e L’infinito sono anche protagonisti di un film prodotto dalla Rai nel 1980: Idillio, diretto dal regista (e poeta) Nelo Risi, fratello di Dino. Un bravo Mattia Sbragia è Giacomo Leopardi, in un film che se da una parte è biografico e torna sui luoghi reali di Recanati dove il poeta è nato e a lungo ha vissuto, dall’altra si sofferma sul processo creativo dell’artista.

E rappresenta ancora oggi un lavoro tanto sommerso quanto interessante, prezioso, da recuperare per accrescere – attraverso le immagini filmiche – la conoscenza e la confidenza con questo grande genio italiano che sta bene ovunque perché parla dell’essere umano.

Anche una commedia leggera come Matrimoni ed altri disastri, allora, del 2010, può permettersi di inserire al suo interno “A Silvia” per comunicare il sentimento della malinconia per il tempo che passa, per le stagioni dolci e fugaci di quella vita che ha leggi tutte sue, che hanno la capacità di farci male e bene al tempo stesso, di far battere il nostro cuore forte e fuori dal nostro controllo.

E per augurare buon duecentesimo compleanno a L’infinito, allora, e per ringraziare ancora una volta Giacomo Leopardi del grande patrimonio donatoci, si consiglia la visione di un vecchio cortometraggio del maestro Ermanno Olmi, del 1954, intitolato “Dialogo tra un venditore di Almanacchi e un passeggiere”.

È tratto da un’opera scritta da Leopardi nel 1932, e parla della vita immaginata, sognata, sperata, cioè di quella che verrà, e della vita reale, vissuta, conosciuta, cioè quella trascorsa. Parla della distanza che si crea, secondo il testo, tra le due, e all’inizio si avverte il pessimismo di un’esistenza umana destinata alla sofferenza, ma in realtà, andando avanti, ascoltando bene il suono e le parole del testo, c’è dentro la capacità umana di non arrendersi mai alle fatiche e di continuare a lottare, ad omaggiare la vita stessa sperando di trovarvi dentro la felicità, la bellezza e la poesia stessa. E questo motore instancabile continua a produrre movimento, relazioni e pensieri dolci. E forse, tutto questo rappresenta la felicità.

 

 

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