L’eleganza della bontà

Dopo un’estate in cui, per l’ennesima volta, è tornata alla ribalta, riparliamo di Audrey Hepburn, icona di fascino, stile e impegno sociale.
Audrey Hepburn

Una collana di perle. L’elegante snellezza. Gli occhiali neri su un viso che ha superato la fanciullezza ma non è ancora da donna. Il tubino nero aderente e fresco. Il fisico spigoloso. L’aria sana di chi vive di latte e burro, e si lava con acqua e sapone. Il fascino contagioso. Gli occhi luminosi che accarezzano i gioielli di Tiffany attraverso la vetrinetta. Allegramente pazza. Falsa. Ma una falsa vera.

 

Più o meno con questi attributi, Truman Capote descrive Holly Golightly, incantevole protagonista di Colazione da Tiffany, l’estroso romanzo breve reso celebre dal film che uscì il 5 ottobre 1961 – 50 anni fa – nel quale Holly fu interpretata da Audrey Hepburn. Il film, diretto da Blake Edwards, addolcì la creazione di Capote, a volte poetica a volte ruvida: Holly non è una “escort” – così la si chiamerebbe oggi – come nel romanzo, ma una ragazza libera e disinvolta terrorizzata da un legame d’amore: sarà proprio l’amore invece ad avere la meglio nel film. Non così nel romanzo. Dove comunque il timido innamorato di Holly si auspica che pure lei trovi il suo posto nella vita. Perché in realtà il problema è sempre lo stesso: trovare il proprio posto, per il resto difficoltà e dolcezze infiorano ogni vita in un mix insondabile… Ma se non s’è trovato il proprio posto, tutto è più complicato.

 

Audrey Hepburn ha faticato anche lei a trovare il suo posto nella vita. Ma ci è riuscita. Nacque in Belgio nel 1929. Tempi brutti, con Hitler che affascinava sinistramente la Germania lanciandola in un vortice di pericolosa euforia. Il peggio accadde. Le svastiche seminarono terrore dovunque. La famiglia di Audrey si spostò in Olanda. La mamma era un’aristocratica olandese: forse quel po’ di sangue blu nelle vene conferì alla figlia l’innata eleganza che la contraddistinse per tutta la vita. Il padre, inglese, era simpatizzante nazista. Abbandonò la famiglia. Audrey e la mamma si trovarono sole, conobbero la povertà e la fame. Come tanti all’epoca. Divenuta famosa, confessò che quello fu il periodo più brutto della sua vita. Audrey studiava danza. In quei periodi bui, nel 1944, ballava in spettacoli che si tenevano in segreto per raccogliere fondi per il movimento partigiano. Per non farsi sentire, nessuno applaudiva: era un pubblico muto, ma appassionato.

 

Troppo alta e malnutrita per avere successo come ballerina – secondo il parere della sua insegnate – la Hepburn a 19 anni abbandonò la danza e tentò la carriera di attrice. Dopo gli esordi, nel ’52 il gran colpo. Con un provino che non lasciò dubbi al regista William Wyler, Audrey si aggiudicò il ruolo della principessa Anna in Vacanze romane, soffiandolo a Elizabeth Taylor. Il film, nel quale recitò accanto a Gregory Peck, le valse l’Oscar come migliore attrice. Alla cerimonia d’assegnazione del premio indossò un abito bianco a fiori, che sarà giudicato emblema di squisita eleganza. Fu l’inizio d’un mito. Successi e riconoscimenti seguirono uno dopo l’altro.

 

Audrey era un fenomeno atipico per Hollywood: non era, come Marylin Monroe, una che stuzzicava l’immaginario erotico degli uomini e che le donne vedevano come il fumo negli occhi. Era una donna adorata dagli uomini per la completezza della sua persona, e che affascinava anche le donne per l’irresistibile eleganza. Audrey era discreta, non riusciva a dare scandalo.

 

Anche nella vita sentimentale ci mise un po’ a trovare la persona giusta. Un fidanzamento interrotto. Poi il matrimonio con l’attore americano Ferrer – dal quale ebbe il figlio Sean –, ma finì male dopo 14 anni. Quindi un secondo matrimonio con lo psichiatra italiano Andrea Dotti, dal quale ebbe il figlio Luca: matrimonio presto rovinato dalle avventure galanti del marito, ma che lei portò comunque avanti per 13 anni. Ebbe anche quattro aborti spontanei; insomma qualcosa della sofferenza l’aveva conosciuta, nonostante il suo volto emanasse candida spensieratezza. Alla fine si unì, senza sposarsi, all’attore olandese Robert Wolders, vedovo, con il quale trovò finalmente una grande sintonia: vissero insieme fino alla morte di lei avvenuta per tumore nel 1993, a 63 anni.

Con la nascita del secondo figlio Luca, la Hepburn decise di ridurre drasticamente gli impegni per dedicarsi alla famiglia. Confessa: «Se fossi occupata a lavorare come attrice, mi sentirei come se stessi derubando la mia famiglia, mio marito e i miei figli, derubandoli dell’attenzione che dovrebbero ricevere».

 

L’ultima fase della sua vita la vide impegnata a favore dei bambini poveri dei posti più sfortunati del pianeta. Divenne ambasciatrice speciale dell’Unicef. Aiutata dalla sua conoscenza delle lingue viaggiò in Somalia, Centro e Sud America, Sudan, Bangladesh, Vietnam, Ciad. Confidò: «Sono contenta d’avere un nome celebre, perché posso usarlo per una buona causa. Io posso informare, stimolare le coscienze sui bisogni dei bambini. Mi piacerebbe essere un’esperta in educazione, economia, politica, religione, tradizioni e culture. Ma sono solo una mamma, quello che posso fare è viaggiare e far conoscere». Anche tra le capanne povere d’un villaggio somalo, però, Audrey rimaneva Audrey. Diceva suo figlio Sean: «Mamma rese elegante la bontà». Proprio così. A me piace ricordarla anche per una sua frase: «Chi non crede nei miracoli, non è un realista».

 

I film più celebri

Vacanze romane (1953); Sabrina (1954); Arianna (1957); Colazione da Tiffany (1961); Sciarada (1963); My Fair Lady (1964). Uno dei film che lei amava di più è Storia di una monaca (1959), nel quale la sua interpretazione fu considerata una delle migliori mai viste sul grande schermo.

 

Donna

Per avere labbra attraenti, pronuncia parole gentili./ Per avere uno sguardo amorevole, cerca il lato buono delle persone./ Per avere un aspetto magro, condividi il tuo cibo con l’affamato./ Per avere capelli bellissimi, lascia che un bimbo li attraversi con le proprie dita una volta al giorno./ La bellezza di una donna aumenta con il passare degli anni. La bellezza di una donna non risiede nell’estetica, la vera bellezza in una donna è riflessa nella propria anima. È la preoccupazione di donare con amore, la passione che essa mostra.

Audrey Hepburn

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