Le periferie di Alessandra Montesanto

Alessandra Montesanto, critico cinematografico, formatrice ed insegnante di cinematografia è autrice del libro "Visioni periferiche". Nostra intervista.

Il cinema non è mai solo cinema. Per Alessandra Montesanto, critico cinematografico, formatrice ed insegnante di cinematografia – nonché responsabile dell’associazione culturale peridirittiumani.com – è anche viaggio, culture, città. Tempo fa uscí un suo libro dal titolo “Visioni urbane”; oggi un altro con un titolo simile: “Visioni periferiche”, realizzato per la Multimage editrice. L’abbiamo incontrata per parlarne, partendo dal rapporto tra i due testi:

Il sottotitolo del primo libro era “Viaggi tra Cinema e architetture”: ho avuto la fortuna di viaggiare molto e di vedere molti film. Questo mi ha permesso di conoscere, tra virtuale e reale, le condizioni di vita di molti gruppi di persone, spesso in difficoltà a causa della mancanza di attenzione da parte delle istituzioni. Anche l’architettura può essere materia per approfondimenti sociologici ed etnografici. Per esempio a Milano c’è il celebre “Bosco verticale” realizzato dall’architetto Stefano Boeri e dal suo staff: ma chi si può permettere quegli edifici costosissimi? Dove invece sarebbero necessari interventi di alloggi ad affitti calmierati, non c’è intervento alcuno. “Visioni periferiche”, il cui sottotitolo è “Narrazione dell’hinterland in Italia e nel mondo”, è una continuazione del primo saggio, con lo sguardo ancora più spostato verso le aree marginali di città, metropoli e megalopoli. Qui si concentrano diversi problemi comuni a tutte le aree trascurate dai governanti. Luoghi in cui si annidano sacche di violenza, povertà, disagi psichici e altro.

Il titolo parla di periferie. Con quale accezione usi questo termine? Mi vengono in mente le “periferie esistenziali” di papa Francesco…

Non solo come periferie territoriali o geografiche, ma anche mentali: chi abita in zone disagiate finisce per ammalarsi di quello che i filosofi e psicoterapeuti Smith e Benasayag definiscono “nichilismo passivo”. Ne parla anche Galimberti: è la certezza che non sia possibile un futuro migliore, un domani soddisfacente. Ecco allora la rassegnazione, la disperazione soprattutto nei giovani, per un muro di difficoltà fatto di mancanza di opportunità lavorative, di studio, di aggregazione, di crescita sana.

Nel libro non racconti solo i film: dedichi molto spazio a dinamiche e situazioni sociali delle città. Possiamo considerarlo un testo che parte dal cinema per andare oltre, nel cuore delle città?

I film sono lo spunto iniziale per un’analisi di temi attuali: il welfare, la cittadinanza attiva, l’educazione civica, ecc. Cerco sempre, nei miei scritti, di far convergere le mie passioni e competenze sul cinema con l’essere responsabile da otto anni dell’associazione culturale sui diritti umani.

Che tipo di lavoro svolge?

L’attività che svolgiamo – con le mie brave collaboratrici – ci ha permesso di entrare in contatto con molte realtà, con tante comunità straniere e di fare intercultura sul campo. Ho capito la necessità di partire dalla conoscenza reciproca (attraverso l’Arte, il giornalismo, le esperienze) per abbattere pregiudizi e stereotipi e porre le basi per un mondo aperto e dialogante. Partiamo proprio dalla corretta informazione, dall’approfondimento culturale per modificare la mentalità e dirigerla verso i principi dell’inclusione e dell’arricchimento reciproco, per abbracciare “l’altro distante” nel tempo e nello spazio, come scrive la compianta Elena Pulcini nel suo ultimo saggio: “Tra cura e giustizia”.

Nel libro analizzi molte città. Come le hai scelte? Che criterio hai usato questa volta?

Sono partita dal monitoraggio del mondo reale e ho cercato di rappresentare più continenti possibili. Parlo di periferie che riguardano l’Europa, gli Stati Uniti, L’America latina, il Nord e Centro Africa. In tutte queste aree si possono evidenziare problemi economici, sociali e politici che hanno un forte impatto su popolazioni civili che si battono per una società più libera ed equa. In alcuni casi le periferie presentano difficoltà simili, in altri situazioni particolari, ma in generale tutto nasce dall’assenza dello Stato, che preferisce concentrarsi e premiare aree più centrali delle città, di facciata, e i ceti più abbienti.

Per ogni città analizzi (bene) solo alcuni film. Come li hai scelti?

Sarebbe stato troppo lungo, e credo inutile, un elenco di tutti i film realizzati sulle città di cui parlo. Ho selezionato le opere in base ai contenuti, alla profondità psicologica dei personaggi (spesso tratti da eventi reali) e allo stile. Credo sia importante far capire la differenza tra un “bel” film e uno brutto, offrendo strumenti ai lettori/spettatori. Da qui l’importanza del linguaggio tecnico, della regia, del montaggio, del sonoro. Credo che il film sia un prodotto artistico molto utile per far comprendere meglio cosa accade intorno a noi, perché scatena i meccanismi di proiezione e identificazione, parla alla testa e al cuore.

Perché la città è sempre così al centro dei tuoi studi?

Sono nata e vivo a Milano e come ho detto ho potuto viaggiare molto. La città può offrire tante opportunità, ma non a tutti. Standomi molto a cuore i valori della giustizia e dell’uguaglianza, ho sviluppato una sensibilità verso le situazioni di persone vittime di soprusi e indifferenza. Per questo ho costituito l’associazione e mi occupo di questi argomenti. La città può promettere, offrire, accogliere, ma anche deludere, escludere, vanificare.

Visioni periferiche parla di disparità sociale, discriminazioni, lotte per i diritti, ma anche di sperimentazioni e progetti di speranza per il bene comune. Ne puoi parlare?

Per fortuna sono tanti gli esempi di progetti positivi in Italia e nel mondo: a Roma, nei quartieri con le famose “tor” (Tor Vergata, Tor Bella Monaca, Tor Marancia) si vedono interventi migliorativi legati a nuovi luoghi di socializzazione sportivi, culturali, con musei e biblioteche. Interventi legati alla bellezza con writers più o meno noti che realizzano murales colorati che inneggiano a una vita serena, onesta, intensa. Mi riferisco per esempio ai poeti metroromantici: i “Poeti der Trullo”. Penso poi a Nehad Aboul Kmosan a Il Cairo, avvocatessa che fa parte dell’Ecrw (Egyptian centre for women’s rights) che si occupa di dare assistenza gratuita alle donne vittime di violenza domestica e di parità di genere. Ne parlo a proposito del film “Cairo 678” del regista Mohamed Diab. Per il Medioriente e il Nord Africa suggerisco di leggere l’importante prefazione del giornalista e ricercatore universitario Giuseppe Acconcia. Penso anche alla comunità Guaranì in Bolivia, in particolare del dipartimento di Potosì, che lotta per il proprio diritto come popolo indigeno, per vivere secondo i termini dell’autodeterminazione.

Per un sano rapporto tra singolo e collettività:

Donne e uomini, giovani e bambini: tutti siamo chiamati alla responsabilità individuale e collettiva se si vuole seguire la lezione di Dostoevskij che dice: «La Bellezza salverà il mondo«. La bellezza è la pienezza della vita, un’esistenza armonica, dentro e fuori di noi.

I più letti della settimana

Tonino Bello, la guerra e noi

Mediterraneo di fraternità

La forte fede degli atei

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons