Le norme sulla tortura e la tutela dei cittadini

Per la Corte di Strasburgo i poliziotti del G8 compirono atti di “tortura”, ma in Italia non esiste una legge che li punisce. Il Parlamento lavorerà al testo, ma va fatta una seria riflessione anche sulle altre priorità del nostro Paese e sul ruolo delle forze dell'ordine
Arnaldo Cestaro torna nella scuola Diaz dove avvennero l'irruzione e il pestaggio durante il G8 di Genova la notte del 21 Luglio 2001

La notizia della sonora condanna inflitta dalla Corte di Strasburgo al nostro paese per i fatti del G8 ha richiamato alla memoria le tragiche immagini degli scontri tra gli agenti di Polizia ed i manifestanti in quel “caldo” 21 Luglio del 2001.

Per la Corte europea dei diritti umani quanto compiuto dalle forze dell’ordine italiane presso la scuola Diaz “deve essere qualificato come tortura”. Ma l’ordinamento italiano non prevede il reato di tortura. Da qui la condanna al nostro paese per non aver promulgato una legge sul reato specifico, omissione che, a parere della Corte di Strasburgo, ha consentito ai responsabili del pestaggio di evitare qualsiasi sanzione. "Questo risultato – scrivono i giudici – non è imputabile agli indugi o alla negligenza della magistratura, ma alla legislazione penale italiana che non permette di sanzionare gli atti di tortura.

 La Corte si è pronunciata sul ricorso presentato da un  manifestante veneto, Arnaldo Cestaro, che rimase vittima del violento pestaggio da parte della polizia durante l'irruzione nella sede del Genova Social Forum. L'uomo, il 21 luglio 2001, era il più anziano dei manifestanti presenti nella scuola Diaz a Genova. Gli agenti lo sorpresero mentre dormiva, gli ruppero un braccio, una gamba e dieci costole durante i pestaggi. Nel ricorso Cestaro sostiene che quella notte fu brutalmente picchiato dalle forze dell'ordine tanto da dover essere operato e subire ancora oggi le conseguenze delle percosse subite. Afferma inoltre che le persone colpevoli di quanto ha subìto avrebbero dovuto essere punite adeguatamente, ma che questo non è mai accaduto perché le leggi italiane non prevedono il reato di tortura.

La decisione della Corte, presa all’unanimità, è stata implacabile: lo Stato italiano ha violato l'articolo 3 della convenzione sui diritti dell'uomo dove recita: "Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti". La Corte ha stabilito dunque che il trattamento che è stato inflitto al ricorrente deve essere considerato come "tortura". Nel caso specifico di Cestaro, "aggredito da parte di alcuni agenti a calci e a colpi di manganello", la Corte parla di "assenza di ogni nesso di causalità" fra la condotta dell'uomo e l'utilizzo della forza da parte della polizia nel corso dell'irruzione nella scuola e di maltrattamenti "inflitti in maniera totalmente gratuita" e qualificabili come "tortura". «Ho visto il massacro in diretta, ho visto l'orrore con il volto dello Stato», ha affermato Cestaro richiamando alla memoria quanto subìto ad opera degli agenti.

Certamente questa condanna darà un forte impulso all’iter di approvazione della legge che introduce il reato di tortura nel codice penale italiano, all'esame del Parlamento da quasi due anni.

Il testo di legge, composto di sette articoli, prevede che la tortura sia reato comune e può risponderne quindi ogni cittadino. E' punibile con la reclusione da 4 a 10 anni. Il delitto si realizza quando un soggetto, con violenza o minaccia, ovvero con violazione dei propri obblighi di protezione, cura o assistenza, intenzionalmente cagiona ad una persona a lui affidata, o comunque sottoposta alla sua autorità, vigilanza o custodia, acute sofferenze fisiche o psichiche, a causa dell'appartenenza etnica, dell'orientamento sessuale o delle opinioni politiche o religiose. Inoltre si verifica tortura quando le violenze e le minacce sono finalizzate ad ottenere informazioni o dichiarazioni; a infliggere una punizione; a vincere una resistenza.

Ben venga la legge, ma non può essere solo l'emotività collegata al G8 a regolarne i tempi e le modalità di approvazione. Servirà a colmare un vuoto legislativo e questo è corretto, ma non ci sarebbe da meravigliarsi se, d’ora in avanti, gli appartenenti alle forze dell’ordine si ritroveranno tanti più procedimenti collegati al loro operato, che certamente limiteranno le loro azioni sul campo. Per onore della verità va anche ricordato che Genova nelle ore del G8 si presentava più come uno scenario di guerra che come un salotto per i capi di Stato. Nella folla di manifestanti, arrivati in città, si erano mescolati migliaia di criminali, come i black block, provenienti da ogni parte del mondo che avevano messo a ferro fuoco le strade, attentato alla vita di poliziotti, carabinieri e civili, devastato attività commerciali.

La reazione delle forze dell'ordine, una volta ripreso il controllo della situazione, fu eccessivamente dura, va riconosciuto, ma non si possono non evidenziare le reciproche responsabilità. Intanto imaggiori vertici dei sindacati di polizia, pur riconoscendo che da parte degli agenti siano stati commessi degli errori, ritengono ingiusto il riferimento al reato di tortura. Secondo il segretario nazionale del Sap, il Sindacato autonomo di polizia Gianni Tonelli, "Diaz non è stata sicuramente una bella parentesi, ma parlare di tortura mi sembra eccessivo".

Auspichiamo che assieme all'approvazione di questa legge sollecitata da Strasburgo, si lavori per dare risposte anche alle tante "torture sociali" – passatemi il termine – che vengono quotidianamente perpetrate a danno di chi vede negata la propria domanda di giustizia, di chi è più debole, non ha voce, non ha lavoro, non ha la speranza di una vita dignitosa. Qui la legge  non dovrà solo punire, ma anche prevenire.

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