Le feste e la liturgia delle crisi aziendali

Il caso eclatante di Almaviva, con 2500 licenziamenti nei call center scongiurati sotto Natale, dimostra che necessita riparlare seriamente delle politiche del lavoro
Un momento della manifestazione dei lavoratori di ''Almaviva'' sotto il Ministero dello Sviluppo Economico, a Roma, 19 dicembre 2016. ANSA/GIUSEPPE LAMI

Solita scena a Natale. I problemi di lavoro esplodono sotto le feste di fine anno che accompagnano i dati di bilancio preventivi e consuntivi. Quelli di Almaviva, settore call center guidato dalla famiglia Tripi, dicono di una perdita di 2 milioni di euro al mese.

Lo scenario minacciato più volte è quello del licenziamento di duemila e 500 lavoratori tra le sedi di Roma e Napoli. La questione centrale riguarda la facilità del trasferimento di posti di lavoro all’estero e gli appalti al massimo ribasso, quelli cioè dove il risparmio dei costi lo pagano gli addetti in termini di precarietà e paghe ridotte. All’ultimo momento, dal ministero dello Sviluppo è giunta la notizia dell’accordo che procrastina la questione a marzo 2017, dopo un primo rinvio siglato lo scorso maggio, prima delle elezioni amministrative. Le misure si concentrano sulla riduzione delle retribuzioni, già falcidiate dal ricorso alla cassa integrazione per redditi già più che modesti.

Non si tratta solo di giovani alle prime esperienze ma di operatori maturi con carichi familiari. Quella fascia di popolazione, cioè, che spenderebbe immediatamente i propri soldi per quei consumi elementari (cibo, abbigliamento, medicine, ecc.) in grado di far ripartire l’economia.

Il corteo dei lavoratori del call center Almaviva contro il taglio del personale, Napoli, 10 novembre 2016. ANSA/CESARE ABBATE

Il governo ha stanziato 90 milioni di euro per intervenire nella crisi dei call center, ma è evidente che si tratta di misure tampone, senza citare i miliardi necessari per mettere in sicurezza le banche, che curano l’emergenza ma non il problema. Per questo motivo, oltre il grande tema del Jobs act, il quesito meno conosciuto ma rilevante tra i referendum proposti dalla Cgil, e all’esame della Corte costituzionale dell’11 gennaio,  riguarda l’abrogazione delle norme che limitano la responsabilità solidale degli appalti tra committente, appaltatore e subappaltatore.

Un modo per far saltare i meccanismi consolidati nell’organizzazione del lavoro delle aziende nel settore informatico e non solo.

Sembra, dalle dichiarazioni rilasciate dal ministro Poletti, che ci siano pressioni per far saltare il referendum che potrebbe tenersi tra aprile e maggio 2017, se la Corte darà il via libera. Ma la questione deve essere affrontata seriamente senza arrivare al dramma delle scadenze ultimative, come il vicino marzo per Almaviva.

Un grande confronto sul lavoro a partire dai numeri reali dell’occupazione di qualità, non i milioni di voucher orari, e dalle scelte di lungo termine come questa sugli appalti che è datata 2003.

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