Le cose che hanno valore

Asedici mesi presi la poliomielite, malattia a quei tempi quasi sconosciuta. Gli studi per capirne la causa e cercare di ottenerne la guarigione venivano fatti per tentativi, sulla nostra pelle. Sono sicuro che, dei cinque interventi subiti, uno solo sia servito effettivamente a migliorare la mia situazione. Finalmente, dopo una decina d’anni di permanenza in vari ospedali, tornai a casa dove ripresi, si fa per dire, la vita normale dei ragazzi della mia età. A quattordici anni mi fu proposto di andare a studiare in collegio a Parma, presso l’Istituto Pro Juventute fondato da don Carlo Gnocchi, dove ospitavano ragazzi che avevano più o meno i miei problemi. Accettai senza indugi, anche se un altro distacco dai miei genitori avrebbe fatto soffrire nuovamente me e loro. Ero consapevole che non ci sarebbe stato futuro per me se fossi rimasto a casa. Nessuno avrebbe mai sposato un ragazzo senza lavoro e nelle mie condizioni. Così partii, triste ma pieno di speranza. Iniziai a studiare seriamente, perché quando fino ad allora avevo approfittato anche troppo della tolleranza dei maestri nei miei riguardi. L’impegno nello studio fu tale che al termine dell’anno scolastico mi diedero un premio per il buon esito conseguito. Il periodo passato a Parma è stato, senza dubbio, uno dei più belli della mia vita. Conobbi i Focolari proprio lì, quando frequentavo le scuole superiori. Mi resi subito conto che quello era l’incontro che Dio, nel suo infinito amore, aveva preparato per me da sempre. Facevo impazzire il direttore perché cercavo continuamente delle scuse per uscire dal collegio e poter partecipare alle attività del Movimento. Il definitivo ritorno a casa fu difficile, perché l’indifferenza dei miei paesani mi faceva soffrire. Avevo imparato che dovevo essere io ad amare per primo, senza aspettarmi nulla in cambio. Così cercai di prendere qualche iniziativa per avvicinarmi ai giovani del paese. Essendo bravo a giocare a calciobalilla, ne approfittai per farmi i primi amici. In seguito, con loro, diedi vita ad un gruppo in grado di portare avanti svariate iniziative, arrivando a contare sessanta tra ragazzi e ragazze. Iniziammo raccogliendo carta e ferro vecchio per finanziare le nostre attività: squadre di pallavolo maschile e femminile, calcio, sala giochi, complesso musicale, sagre paesane ecc. Tutte ottennero dei buoni risultati. Naturalmente cercai di far conoscere il movimento anche ai miei nuovi amici, invitandoli a Parma. Questo periodo durò quattro anni circa: i ragazzi e le ragazze diventavano grandi, si fidanzavano e… l’interesse per il gruppo diventava sempre meno forte. Anche per me il tempo passava inesorabile: la necessità di trovarmi un lavoro e una ragazza si faceva sentire; ma il lavoro non arrivava e, per quel che riguardava le ragazze, c’era tanta diffidenza da parte dei loro genitori nei miei confronti, a causa della disabilità. Fu uno dei periodi più brutti della mia vita. Nel mio cuore però, nonostante le difficoltà, continuavo a sperare.Mi rifugiavo in quel Gesù che, forse proprio perché soffrivo tanto, scoprivo in modo sempre più profondo. Dopo qualche anno, cominciai a lavorare come impiegato nella scuola e, in seguito, conobbi anche Patrizia, di cui mi innamorai. Dopo un fidanzamento breve perché ostacolato, però molto intenso, il nostro matrimonio risultò una festa davvero speciale perché fummo inondati dall’affetto di amici arrivati da ogni parte, e parenti. Nel primo periodo da sposati la nostra vita a due era fatta di cose semplici, ma eravamo così felici! Poi nacque Claudio, e l’anno successivo arrivò Enrico. Durante la seconda gravidanza, al quinto mese, mentre Patrizia si trovava al mare, improvvisamente si manife- stò la rottura delle acque. Portata al più vicino ospedale, il medico consigliò l’aborto: vi erano infatti serie probabilità che il bambino nascesse con qualche handicap. Patrizia non ebbe alcuna esitazione: Al bambino voglio già bene – disse – e non posso perderlo. Sostenuti dalla fede, decidemmo di tentare tutto il possibile per salvarlo. A Padova, Patrizia rimase per due mesi immobile a letto. E il 15 agosto venne al mondo Enrico; ma era talmente grave che lo battezzammo subito. Doveva essere operato al cuore, inoltre aveva subito danni cerebrali e alla vista che lo rendevano gravemente handicappato. Dopo circa due mesi di ospedale lo portammo finalmente a casa. Eravamo tanto impegnati con nostro figlio che, a volte, riuscire solo a fare un giretto intorno alla casa per cercare un po’ di pace diventava un lusso. La volta in cui riuscimmo ad andare, dopo tanto tempo, a messa insieme, ci commovemmo entrambi. La situazione era diventata particolarmente difficile; come se non bastasse cominciai ad avere dei giramenti di testa che, ancora oggi si fanno sentire. In un momento di scoramento, perché non ce la facevamo proprio più, rivolsi a Dio questa domanda: Non ti bastava la mia disabilità? Perché hai voluto anche quella di Enrico?.Ma quasi contemporaneamente percepii la risposta: Perché ti amo immensamente! Se ora l’angoscia ti impedisce di avvertire la mia presenza, non lamentarti perché non è attraverso la gioia che mi troverai ma tramite il dolore. Non preoccuparti di Enrico, ti darà tante soddisfazioni. In quel momento provai una pace interiore mai sentita. L’amore di Dio Padre si manifestava nelle più svariate occasioni. Per esempio, quando Enrico rimase in ospedale a Rovigo più di un mese per essere sottoposto ad una particolare terapia, tanti amici del movimento lo assistettero a turno, in modo da dare a Patrizia la possibilità di riposarsi a casa qualche ora e poter stare insieme anche al nostro primogenito. Enrico per noi è una grazia che ci permette di considerare solo le cose che hanno veramente valore, facendoci mettere in secondo piano tante altre inutili e vane. Ora che Claudio è grande, partecipa attivamente alla vita famigliare: a volte si offre spontaneamente di accudire il fratello per regalarci la possibilità di una passeggiata o di una cena con gli amici. Una volta andato in pensione, come tutti i neopensionati avevo fatto tanti progetti per occupare il tempo disponibile. Ormai, però, erano i miei genitori ad avere problemi di salute abbastanza seri. E a loro dovevo pensarci io. Per ovvi motivi non sono riuscito ad attuare nessun progetto, però sono riuscito ad realizzare quello di Dio: vivere bene l’attimo presente. Recentemente abbiamo, con tanti sacrifici, acquistato un camper attrezzato per Enrico; possiamo finalmente muoverci liberamente e vivere con più serenità. Lo consideriamo un regalo che il Padre celeste ci ha voluto elargire.

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