Le contraffazioni dell’amore

Inganno o salvezza? L’amore vero non può “finire”.
giovani

Un ragazzo e una ragazza s’incontrano, s’innamorano. I primi sguardi, il primo bacio: è la primavera del cuore, un incanto. La vita appare, ed è, ricchissima di promesse nel suo congiunto fiorire. E qui comincia una delicatissima responsabilità: basta poco, uno scatto d’orgoglio, una riserva di egoismo, un eccesso rapace di sensualità, e tutto si deforma, o crolla. Perché? Basta leggere il Vangelo come mappa, o guida, dell’amare, per capirlo. Poi, tra il capirlo e l’attuarlo corre necessariamente tutta la vita. Ma, appunto, la vita che va salvata a partire dal suo primo incanto, perché non diventi un inganno.

 

Quello che mi addolora (è la parola esatta) nei film di sensualità e di passione non è certo la valanga di sessualità; nessun moralismo mi piace, e il sesso lo ha creato Dio. Mi addolora l’inganno nascosto, ma poi debordante e travolgente, in quella seduzione, in quell’“usa e getta”, in quel “faccio quello che mi pare”. L’incanto diventa inganno, delusione, frustrazione, infelicità.

 

Il motivo è semplice quanto ignorato o negato, e si trova nella mappa o guida del Vangelo: l’amore – non la chiacchiera “amore”, il tranello, l’inganno, la rapina – può esserci solo tra persone; e la persona non è l’individuo (la femmina che mi piace, il maschio che mi attrae), ma è quella capacità di relazione infinita per cui l’amore, che essa dà e riceve, non può essere che infinito, senza limiti: altrimenti è truffa, vuoto, morte. Non per nulla il Vangelo dice a ciascuno che non è un povero pezzo di carne destinato a fatiche malattie morte, ma che è, come Gesù lo rivela, figlio del Padre per volontà del Padre di adottarlo come figlio nel suo Figlio.

 

Il problema non è dunque, ovviamente, il poco o tanto sesso, non sono i vecchi moralismi ciechi malati e controproducenti, la libertà o mancanza di libertà, e così via. Il problema, anzi, il tema, il valore, la salvezza (nel Vangelo si chiama Vita con la maiuscola, qui, e di là vita eterna), è dare il nome di amore solo all’amore, non a un’imitazione, a una contraffazione, a una maschera, a una frode.
Quando sento dire che il tale amore “è finito”, che il tale matrimonio “è finito”, mi viene il sangue alla testa, specialmente se a dirlo è, come capita, anche un prete.

 

L’amore che finisce non è mai cominciato! Perché, come ha spiegato molto bene anche il papa nella sua prima enciclica, eros non finisce ma si sviluppa in àgape (continuando, senza negarsi), e l’uno e l’altra puntano dritti a Dio, fonte e meta di ogni amore perché lui stesso Amore; infatti è Trinità. Se poi questo non ci va bene e lo rifiutiamo, siamo liberi di rovinarci, ma almeno dobbiamo avere il coraggio di non chiamare amore qualcosa che tutto è tranne l’amore.

 

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