L’amore di De Crescenzo per Napoli

Il caso letterario "Così parlò Bellavista" è emblema di quanto il filosofo e scrittore da poco scomparso provasse passione per la Napoli di sempre, vitale e positiva nonostante i guai, con le sue abitudini, il suo umorismo, ma anche quella moderna, amara degli anni '80, della disoccupazione e della criminalità dilagante

Luciano De Crescenzo è stato un’incarnazione della Napoli bella, solare, quella che vorremmo splendesse indisturbata, ma che invece condivide la sua profonda bellezza con una salute cagionevole, con un sistema immunitario fragile, con tanti guai. De Crescenzo è stato dolcezza e intelligenza, leggerezza e sensibilità,  bonarietà e cultura, ironia e sapienza. Che sono Napoli, la bella Napoli. Ha raccontato la sua amata città, ha espresso la sua passione per lei non soltanto coi racconti, letterari e cinematografici, con le interviste e con le ospitate, con le partecipazioni ai film di altri, ma anche lasciando parlare il suo sorriso calmo, morbido e dolce come il golfo di Napoli. L’ha riassunta e profusa col suo sguardo luminoso come il mare che vi si adagia dentro accarezzando Mergellina e Castel dell’Ovo. Ha fatto respirare, con la sua robusta cultura classica, l’antichità di una città che da secoli è terrazza affacciata sul Mediterraneo.

Benedetto il giorno in cui ha messo tutte le sfumature della sua terra in parole, col romanzo Così parló Bellavista, anno 1977, che divenne un caso letterario e fu tradotto anche in Giappone. Benedetto il giorno in cui decise di trasporlo in immagini, anno 1984, avventurandosi, dopo aver abbandonato la sua prima vita da ingegnere – ed essersi dedicato alla scrittura e alla divulgazione – nel terreno insidioso del cinema. Ed ecco un’opera genuina, semplice, ma tanto gustosa da diventare cult, mitica, di quelle che i napoletani conoscono a memoria le battute, che hanno visto e rivisto, e se capita rivedono sempre volentieri. E con loro gli italiani tutti, perché a vederlo bene, Così parló Bellavista, come il suo sequel del 1985, Il mistero di Bellavista, è zeppo di importanti caratteristi napoletani, ed ogni attore, da Isa Daniell a Tommaso Bianco, da Marina Confalone a Sergio Solli, per citarne solo alcuni, completa la simpatica e partenopeissima orchestra scritta e diretta – nonché interpretata – dall’elegante e saggio maestro. Non a caso il film vinse due David (uno per il miglior regista esordiente e uno per la miglior attrice non protagonista, Marina Confalone) e due nastri d’argento (per gli stessi motivi). De Crescenzo ci ha versato dentro, con originalità e profonda conoscenza, la Napoli di sempre, vitale e positiva nonostante i guai, con le sue abitudini, la sua filosofia, il suo umorismo, ma anche quella moderna, amara degli anni ’80, della disoccupazione e della criminalità dilagante.

C’è una sequenza, in Così parló Bellavista, tra le tante divertenti da citare, in cui il professor Gennaro Bellavista (lo stesso De Crescenzo) discute senza paura con un arrogante camorrista. Di colpo, il film si increspa, si sposta dai toni della commedia e diventa un grido di dolore e di rabbia verso quelli che inaridiscono e avvelenano il meraviglioso giardino sul mare che potrebbe essere Napoli. «Sembra strano – dice Bellavista al tizio che vorrebbe il pizzo dal negozio di suo genero – che un napoletano, un uomo d’amore, possa essere così spietato di fronte a un’altra persona: minacciarla di morte solo per motivi di danaro». Il camorrista accetta il dibattito e risponde a Bellavista: «Professo’, ma voi dove vivete? Napoli non è più quella di una volta: qua ci sono 200.000 disoccupati che si muoiono di fame». E qui il professore non ci sta: «Sentite, a me questo fatto dei disoccupati che si muoiono di fame non mi ha mai colpito! Ai tempi miei non si contavano i disoccupati: si contavano gli occupati, che si faceva prima. Io certi alibi non li accetto. Conosco tanti disoccupati che si muoiono di fame, ma non si sognerebbero mai di andare ammazzando». Il camorrista è sorpreso e caccia fuori questa replica: «E si vede quella è gente senza coraggio». Al che Bellavista/De Crescenzo si scatena: «Voi siete coraggiosi – risponde con sarcasmo al delinquente –, la notte mettete una bomba sotto una saracinesca e vi sentite degli eroi. Magari a ‘o piano di sopra ci sta nu povero vecchiarello che dorme e che ci appizza ‘a pelle. Ma a voi che ve ne importa? Siete disoccupati, avete l’alibi morale…». Ora Bellavista insiste, affonda: «Siete napoletani e ammazzate Napoli. E già, perché ci stanno i commercianti che falliscono, le industrie che chiudono e i ragazzi che sono costretti a emigrare». Avrebbe finito, il professore, ma vuole capire meglio una questione, chiede che gli venga tolta una curiosità: «Ah, poi volevo di’ ‘n atra cosa: ma tutto sommato, nun è che fate ‘na vita ‘e merda? Perché, penso io, Gesù, fate pure i miliardi, vi arricchite, però vi ammazzate tra di voi. E pure quando non vi ammazzate tra di voi ci sono vendette trasversali, vi ammazzano le mogli e figli. Ma vi siete fatti bene i calcoli? Vi conviene?».

La sequenza si chiude così, in nero, ma oltre alla rabbia e al dolore, vi si avverte dentro anche l’amore di De Crescenzo per Napoli, quella città che ha appena perso il viso acceso e disteso di un suo appassionato cantore, uno di quei personaggi acuti e geniali di cui questa città è stata sempre madre prolifera e di cui ha un grande bisogno, oggi più che mai. Luciano De Crescenzo da lassù continuerà ad osservare Napoli e ad accarezzare la sua tenerezza, ad emozionarsi per la sua bellezza e a sospirare per le ferite che le vengono procurate.

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