L’abito più bello

Il torpedone fila sull’Autostrada del Sole. I lampioni proiettano sul nastro nero dell’asfalto fasci di luce gialla e il veicolo che avanza sembra un grosso bruco dagli occhi fosforescenti. Così almeno appare, tra il sonno e la veglia, alle quaranta ragazze che, dopo una giornata di viaggio faticosa, ma piena di novità, di canti, di giochi, come solo alla loro età si può sperimentare, non fanno più sentire le loro voci allegre. A quell’ora, sono le tre, si ode solo il battito sordo e monotono del motore. Ed ecco che il conducente coglie il motore in affanno. Si dirige verso un’uscita per parcheggiare. Non tranquillo, avverte le responsabili del gruppo. Poi tutto si svolge nel giro di pochi secondi: filtra dalla zona motori un filo denso e greve di fumo, e i viaggiatori devono lasciare precipitosamente il pullman, senza preoccuparsi dei bagagli. Fanno appena in tempo ad allontanarsi, quando una fiammata avvolge il veicolo, distruggendolo in pochi minuti. È successo nel giugno scorso all’altezza di Firenze. Uno dei tanti incidenti della strada che la cronaca liquida in poche scarne righe. Io dormivo profondamente – racconterà poi Christine, una delle più giovani viaggiatrici, di appena 9 anni -, e quando mi hanno detto di scendere subito non sapevo se ero sveglia o stavo sognando… Sì, forse stavo sognando: infatti ero scalza, ed avevo tolto i jeans, perché faceva caldo. Mi ero sdraiata sul sedile che le altre avevano lasciato libero per me. Ma poi, quando ho sentito il duro della strada sotto i piedi, ho capito che ero sveglia. Ed Anka, una compagna della sua stessa città, aveva tolto gli occhiali che… erano stati ridotti in polvere, come tutto ciò che era rimasto nel pullman. Erano partite molto presto quella mattina, quasi all’alba, da Cracovia. Provenivano da varie città e località polacche, e dalla vicina Lituania un gruppo di otto ragazzine le aveva raggiunte con dieci ore di viaggio. Da lì si sarebbero poi dirette insieme alla volta dell’Italia: meta del loro viaggio, il Centro Mariapoli di Castelgandolfo, per partecipare all’incontro internazionale delle ragazze dei Focolari. Un viaggio da mesi sognato, atteso, e preparato. Ed ora, invece, il torpedone s’era incendiato in un Paese straniero, su una strada sconosciuta. A quell’ora, in quella zona di sosta secondaria nel tratto di autostrada da Bologna a Firenze, tutto era chiuso. Per fortuna Eva, una delle responsabili del gruppo, nella confusione di quei momenti aveva portato con sé la borsetta con l’agenda e il telefonino. Era ciò che occorreva per avvertire intanto gli amici a Roma. Dopo nemmeno tre ore arrivava sul posto un altro pullman. Soltanto alle 5 si era accesa la luce del bar. La proprietaria aveva notato quelle ragazze spaventate, molte delle quali senza scarpe, lì al buio in mezzo alla strada. Dopo poco, una tazza di latte fumante ed una brioche appena sfornata recavano un primo sollievo a quelle ragazze e a chi le accompagnava. Man mano che il tempo passava iniziavano a capire il rischio corso. Cosa fare? Qualcuna voleva tornare indietro, a casa. C’era chi invece desiderava proseguire. Non era facile prendere una decisione, non c’era la serenità necessaria. Intanto il pullman le avrebbe portate a Castelgandolfo: lì avrebbero deciso il da farsi. Ma a loro insaputa, la rete degli sms aveva messo in moto una catena di solidarietà. Le ragazze di Roma, Firenze, Bologna, che non si erano ancora messe in viaggio per partecipare al loro congresso, erano state informate di ciò che era successo alle loro amiche polacche e lituane. Sta di fatto che, al loro arrivo a Castelgandolfo, venivano condotte in una sala che sembrava una boutique. In bella mostra erano esposti abiti, scarpe, biancheria, calzini… che potevano corrispondere alla taglia di ragazzine dai 9 ai 13 anni. Tutto ordinato, bello. Che aspettava solo di essere provato ed indossato. Frutto della comunione dei beni delle loro amiche romane, bolognesi, fiorentine… che avevano cercato nei loro armadi, chiedendo alle mamme stupite di poter donare l’abito più bello, quello a cui tenevano di più. E, non contente, le avevano convinte ad accompagnarle ai grandi magazzini per acquistare della biancheria intima nuova… Le ragazze non credevano ai loro occhi. Vergognose di farsi vedere in disordine, l’essere rivestite a nuovo dava loro sicurezza. Tornate tranquille, circondate da tanto affetto vigile e discreto, colmate da piccole attenzioni, hanno potuto finalmente mettersi in contatto con i loro genitori, rassicurandoli. Si è provveduto inoltre all’acquisto degli occhiali per le quattro ragazze che li avevano persi, ed anche ad un consulto con una dottoressa esperta in problemi giovanili. Secondo il suo consiglio, occorreva dare loro il tempo per assorbire lo shock subìto; trovarsi insieme in un ambiente sereno con altre coetanee, sicuramente le avrebbe aiutate. Ed è stato proprio quello che è avvenuto. Man mano che i giorni passavano, e malgrado la difficoltà della lingua, si sono inserite con crescente impegno e naturalezza, partecipando sempre più volentieri alle attività del congresso. È venuto anche il momento in cui hanno potuto raccontare direttamente a tutte ciò che avevano vissuto. Un fatto importante, come avrebbe poi spiegato la psicologa, nel delicato processo di presa di distanza e di superamento da un evento traumatico. Più presente ancora era la vita di comunione e di vera fraternità che andavano sperimentando in quei giorni con le altre ottocento ragazze.

I più letti della settimana

Chiara D’Urbano nella APP di CN

La forte fede degli atei

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons