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La “Zingarella” di Boccaccino

di Mario Dal Bello

- Fonte: Città Nuova

A Cremona la prima rassegna sull’artista a 500 anni dalla morte. La sorpresa di un piccolo genio

“Zingarella”, Boccaccino, 1504, Galleria degli Uffizi, Firenze

Al Museo Diocesano, nell’allestimento ben curato, si passano in rassegna i lavori di Boccaccio Boccaccino (1466 circa-1525), stretto col pericolo di venire schiacciato tra Altobello Melone, Romanino, Giovanni Bellini e Giorgione, per non dire Leonardo. Maestri che lo influenzano.

Ma quando si arriva, dentro una piccola sala, alla minuscola tavola, quasi una miniatura, della ragazza vestita da zingara, con la cuffia celeste in capo, il manto rosso-verde, i capelli biondi (Firenze, Uffizi, 1505 circa), i luminosi occhi verdi, grandi che ci fulminano e ci seducono, ci diciamo subito: è capolavoro. Questo maestro ha il “suo” rinascimento.

Il pensiero va subito ad altri ritratti perforanti: l’Uomo col guanto di Tiziano, il Giovane nello studio del Lotto, l’Antea del Parmigianino, il cosiddetto Cesare Borgia di Altobello Melone. Volti che ci scrutano, ci interrogano, vicini e distanti, ci turbano. Ci seducono, misteriosi. Tanta è la forza della loro personalità, viva, nei colori e nella luce.

Basta la Zingarella e poi possiamo affacciarci alle altre opere del Nostro.

“Sposalizio di santa Caterina con i santi Rosa, Pietro e Giovanni Battista” di Boccaccio Boccaccino

Ecco lo Sposalizio mistico di santa Caterina d’Alessandria e altri santi (Venezia, Accademia, 1506 circa) con l’ampiezza del paesaggio, la suggestione puntigliosa dei dettagli alla Durer – il tedesco di passaggio a Venezia –, la bellezza della natura con i cavalieri, i monti azzurri che sa tanto di Giorgione. Oppure, la Madonna col Bambino di Brera (Milano, 1505 circa), tenera, la madre triste insieme al Bambino bellissimo e mesto, col pettirosso in mano, presagio della Passione. Tenerezza ombrata di luce e di colore, quasi sfocato, pensiero nei pensieri. Una atmosfera “rugiadosa”, quando la luce si stempera con le gocce d’acqua di primo mattino e si fa poesia del sentimento. Anche questo è Boccaccino.

Andando indietro nel tempo, ci accostiamo alla Sacra Famiglia con il pastore (Modena, Galleria Estense, 1500 circa). Maria, Giuseppe, il giovane pastore sono ritratti reali ma sollevati in un’aura di pacatezza emotiva fatta di sguardi che si rimandano e sono parole mute, intense. Con la simpatia del Bambino che si mette le mani nel naso: la naturalezza del realismo lombardo.

È un pennello amoroso. Lo dice la morbidezza del San Girolamo del Civico di Cremona (1507 circa), di una atmosfericità leonardesca e giorgionesca, però qui vellutata, soffice, di un alone luminoso trepidante come l’Annunciazione cremonese che ricorda quella affrescata in duomo, qui centellinata e inventiva nell’angelo che annuncia e non guarda Maria: lei è persa nella lettura e ha già sentito tutto e detto di sì. Non c’è bisogno di guardarsi: una interpretazione originalissima, introspettiva, profonda. È la religione mite di Boccaccino.

La si ritrova nelle narrazioni con le Storie di Maria nella Cattedrale locale prima degli affreschi popolareschi di Altobello e Romanino e della drammaticissima Passione del Pordenone. Nel 1516-1517 Boccaccio distende la sua narrazione lineare, tra architetture classiche, nature, sentimenti cordiali, elegantoni di Cremona e tanta serenità nel colore chiaro, trasparente.

“Ritratto di giovane che regge un teschio”, di Boccaccino (ph M. Dal Bello)

Ma Boccaccio è anche capace di vibrazioni inquietanti, non solo nella Zingarella. Nel Ritratto di giovane che regge un teschio dal fondo neutro, nel colore caldo, c’è come un’incognita rivelatrice del mistero che in fondo è Boccaccino. Sereno e inquietante insieme. Un grande. Da non perdere.

 

Cremona, Museo Diocesano. Il Rinascimento di Boccaccio Boccaccino. Fino all’11/1/26 (catalogo Officina Libraria).

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