La vulnerabilità del mondo

Aumentano ricchezza estrema e povertà estrema, mentre scopriamo (stupiti) che cresce anche la vulnerabilità delle nostre vite
(AP Photo/Luca Bruno)

La vulnerabilità è in questo momento uno dei problemi più seri dell’umanità; manca, tuttavia, una adeguata e profonda consapevolezza di essa. Se ne parla poco e ancor meno si comprendono gli effetti prossimi e futuri. Vulnerabile è il pianeta a causa dei cambiamenti climatici, ma anche l’economia sotto il peso devastante della guerra. Vulnerabile è il territorio, aggredito dalle attività umane e dalle infrastrutture proliferate in modo confuso, irrazionale, senza un effettivo controllo scientifico sul loro impatto e così pure lo stesso modello di vita occidentale e quel benessere, sempre più fittizio, che non ha mai fatto i conti con la realtà e la vita degli altri.

Vulnerabilità è soprattutto una condizione che non lascia fuori nessuno; è uno di quegli attributi registrati perennemente sulla carta di identità che spesso l’uomo dimentica di avere, ma che scorge nei momenti più delicati, quando sente la prepotenza dei propri limiti. «La vulnerabilità ci accomuna tutti. Tutti siamo vulnerabili», dice papa Francesco in visita alla Cittadella della carità di Roma.

Nella sofferenza e nel dolore, nei momenti in cui le lacrime sono la plastica rappresentazione dell’ineffabilità della vita rivela l’abisso che ci sovrasta. È bastato poco, un virus sconosciuto, il Sars-Cov 2, per portare il mondo sull’orlo del baratro e rimescolare le carte di un’esistenza riconducendola all’essenziale.

«La tempesta smaschera la nostra vulnerabilità e lascia scoperte quelle false e superflue sicurezze con cui abbiamo costruito le nostre agende, i nostri progetti, le nostre abitudini e priorità», diceva, il 27 marzo 2020, il papa nella preghiera straordinaria in una piazza San Pietro sotto la pioggia, spettrale e vuota.

«Con la tempesta è caduto il trucco di quegli stereotipi con cui mascheravamo i nostri ‘ego’ sempre preoccupati della propria immagine; ed è rimasta scoperta, ancora una volta, quella (benedetta) appartenenza comune alla quale non possiamo sottarci: l’appartenenza come fratelli».

«La pandemia da Coronavirus – ha scritto Gael Giraud, economista e gesuita, nel volume La rivoluzione dolce della transizione ecologica – ha provocato enormi sofferenze, ma ha anche permesso a un numero significativo di cittadini europei di acquisire una nuova consapevolezza: abbiamo scoperto la nostra vulnerabilità».

Essa è, dunque, una misura intima della società, dei suoi meccanismi più particolari: il modo di vivere, di produrre, di distribuire e di relazionarsi delle persone e degli stati, la capacità di assumere la visione dell’altro e del futuro. Dalla qualità delle relazioni, dalla loro strutturazione in termini di equità e giustizia dipende un mondo più resiliente.

Nelle intenzioni dei fautori la globalizzazione, unificando i mercati a livello mondiale, avrebbe dovuto realizzare questo obiettivo. In realtà, come i cittadini constatano sulla loro pelle, non è andata così: le disuguaglianze sono aumentate in modo consistente, la distribuzione della ricchezza passa sempre meno dal lavoro e la scala sociale sembra essersi bloccata.

L’interdipendenza tra gli Stati avrebbe dovuto creare minori tensioni, più collaborazione e un mondo più pacifico. «Pensavamo che avrebbe trasformato i nemici in amici e avrebbe creato un mondo senza conflitti», dice Mark Leonard, direttore dell’European council on Foreign Relation, intervistato da La lettura. «Ora abbiamo capito che l’interdipendenza ci apre a ogni tipo di vulnerabilità, ci mette in posizione di debolezza».

Durante la pandemia di Sars Cov-2 abbiamo dovuto importare le mascherine che avevamo smesso di produrre; oggi, invece, l’economia è messa in discussione dalla guerra Russo-Ucraina. Ma è soprattutto la crescita costante delle diseguaglianze che aumenta la vulnerabilità del Paese.

«Per la prima volta in 25 anni, la ricchezza estrema e la povertà estrema sono aumentate drasticamente e contemporaneamente», osserva il rapporto Oxfam La diseguaglianza non conosce crisi, presentato lo scorso mese di gennaio.

La ricchezza è nelle mani di pochi, mentre la povertà è disseminata ovunque.

Colpa, dice Thomas Piketty, professore dell’Ecole des hautes études en sciences sociales e dell’Ecole d’économie di Parigi, del livello di capitalizzazione dell’economia.

L’interdipendenza tra gli Stati non ha propriamente aumentato lo spirito di fratellanza. «Si respira – afferma papa Francesco nella Fratelli tutti – un’atmosfera in cui la distanza fra l’ossessione per il proprio benessere e la felicità dell’umanità condivisa sembra allargarsi: sino a far pensare che fra il singolo e la comunità umana sia ormai in corso un vero e proprio scisma». In esso la vulnerabilità ha le sue profonde radici.

Sostieni l’informazione libera di Città Nuova! Come? Scopri le nostre rivistei corsi di formazione agile e i nostri progetti. Insieme possiamo fare la differenza! Per informazioni: rete@cittanuova.it

I più letti della settimana

Tonino Bello, la guerra e noi

Mediterraneo di fraternità

La forte fede degli atei

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons