La vite e il terrorista

A colpi di spillo Ieri, parlando di tutto un po’ con un collega, mentre si stava lì a far nulla, è sorta la domanda: Ma perché tu non sei un terrorista?. Roba da matti, si direbbe a pensarla velocemente: sono queste le domande da porsi? Ma prima di andare a letto e di mattina appena svegliato mi è tornata la domanda: perché non sono un terrorista? Senz’altro siamo un po’ influenzati dalla cronaca quotidiana che ormai ci fa vedere i ripetuti attentati come fossero un nuovo sport, e tante volte si giudica senza avere una vera conoscenza della situazione. Quando ero bambino ascoltavo da mia nonna la storia dei primi martiri cristiani: Stefano, Tarcisio, Lucia… per me l’esempio di eroi che hanno donato la propria vita per qualcosa che valeva di più di loro stessi. I terroristi attuali mi hanno messo in scacco: veramente ci vuole una buona dose di convinzione e di fegato per farsi saltare per aria, senza nemmeno sapere se l’atto commesso avrà successo oppure no. Anche se fra gli uni e gli altri non c’è confronto da fare, continuo a chiedermi cosa può spingere una persona a sacrificare la propria vita per un ideale… E adesso veniamo a noi, a me che sono uno fra alcuni miliardi di gente comune, con un lavoro come tanti, una vita normale, immerso nei piccoli o grandi problemi che riguardano tutti… Perché non sono un terrorista? Anch’io, come tanti, vorrei giocarmi il tutto per qualcosa di grande, ma sono convinto che la strada per noi cristiani del XXI secolo non sia più quella dei nostri fratelli maggiori dei primi tempi. Credo sia stata Teresina del Bambino Gesù, una ragazza mor- ta a 23 anni ma gigante per sapienza, ad affermare che perire a colpi di spada è facile, più difficile e morire a colpi di spillo. Il terrorismo che mi propongo è quello contro il mio io che vuole apparire di fronte agli altri secondo un’immagine che non corrisponde a ciò che veramente sono. Questo autoterrorismo posso applicarlo nella tolleranza del gatto dell’anziana del balcone accanto, che penso ormai sappia l’ora precisa del mio riposo per cominciare a miagolare lugubremente. Ogni volta che accetto gli altri diversi da me, che non pensano come me, o non agiscono secondo i miei parametri, faccio qualcosa in direzione dell’eroismo. Ma credo che questo non sia sufficiente, bisogna essere anche costruttori e distributori di pace. Mi è capitato nei giorni scorsi di propormi di essere più cortese con tutti, conosciuti e no. Mi sono sorpreso nel vedere la reazione della gente: un signore che stava annaffiando il suo orticello accanto al marciapiede mi ha risposto con un gran sorriso quando di passaggio gli ho detto buona sera; oppure il ringraziamento tacito di due ragazze sulle strisce pedonali quando ho fermato la macchina al primo cenno d’attraversamento. Sono un terrorista? Forse sì, con tanti colpi di spillo che la giornata mi riserva, se so accettarli come dono di Dio per me e d’amore per gli altri. D’altro canto mi risuonano sempre nella mente le parole di Giovanni Paolo II ad Assisi: L’oscurità non la si combatte con le armi ma… con la luce!. La lezione del vigneto È tarda sera, e il caldo mi spinge verso il balcone dove forse l’aria serena mi rilasserà un poco. Sopra di me una luna magnifica; sotto, i vigneti che sembrano allineati in una prospettiva perfetta; sullo sfondo le montagne con le galassie delle lucine dei paesi vicini. Dopo una giornata di caldo umido, lavoro, preoccupazioni, mi sento uno straccio nel fisico e nell’animo, e resto stupito dalla domanda che mi nasce dentro: Ma vale la pena tutto questo sforzo?. Guardando le luci in lontananza sono tentato di avvilirmi se penso a tutta quella gente alla quale non riuscirò mai a comunicare che Dio ci ama; figurarsi poi ai milioni che soffrono, lottano, condividono con me questa porzione di storia nel nostro pianeta. Contemplo i vigneti e mi sento come un tronco di vite: contorto, nodoso, senza grazia, bisognoso che qualcuno poti i miei tralci sterili per darmi una nuova spinta di vita. E sotto il chiarore della luna, nel silenzio della notte ormai scesa, una voce dal vigneto sembra bisbigliarmi all’anima… Sono una pianta sgraziata, è vero, Dio mi ha creata così; grazie però allo sforzo per affondare le mie radici nella terra sassosa, amando il sole cocente, la pioggia autunnale e d’inverno la brina, lui produce in me il miracolo dell’uva. Ma quel grappolo non è per me, verrà spremuto per diventare vino, il buon vino che rallegrerà la tavola di ogni famiglia dei paesi attorno. E bevendolo non brinderanno al mio tronco, ai miei tralci o ai grappoli, ma penseranno agli amici distanti, ai novelli sposi, ai figli che tornano… Questo è il mio modo di arrivare a tutti, di trascendere, di svincolarmi da questo filare che m’imprigiona e al tempo stesso mi mantiene in vita. Resto affacciato al balcone per assaporare questo momento che mi giunge come un dono semplice, pacifico… divino. Finché la luna, complice, dall’alto mi strizza un occhio come per augurarmi buona notte.

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