La stazione, crocevia di storie e culture

Ventimiglia è terra di confine e di passaggio, ed è normale incrociare ragazzi migranti che portano su di loro esperienze di crudeltà vissute durante tutto il viaggio. Molti tovano difficoltà nell'accoglienza per mancanza di strutture oltre quelle della Croce Rossa e della Caritas

Il sole di Pasqua non è un granché, ma i turisti sono parecchi. Dalla vicina Francia come dal basso Piemonte e dalla Lombardia sono arrivati in parecchi. Del via vai consueto la stazione ferroviaria resta pur sempre un punto nodale per chi sceglie di viaggiare in gruppi e comitive. L’atrio come sempre è un luogo di sosta per chi aspetta l’arrivo di parenti o amici. C’è davvero tanto movimento di  persone dirette ai binari come di altrettante che vanno in centro città.

Mi sento chiamare, dapprima non penso che sia per me, poi vedo che s’avvicina un amico nigeriano che qui offre il suo servizio come mediatore culturale. Saluti caldi, perché ci conosciamo da parecchio tempo e di cose ce ne siamo raccontate in questi anni. E da raccontarcene ce ne rimangono ancora tante. Adan ci ha fatto conoscere un mondo che per tanti di noi era sconosciuto. Ci ha raccontato le crudeltà vissute da tanti ragazzi lungo il percorso fatto per arrivare fin qui. E anche le ingiustizie, subite qui, le umiliazioni ricevute in Francia da tanti, prima di essere respinti e riportati in Italia. E automaticamente lo sguardo si posa sui ragazzi di colore che sostano nell’atrio. Loro non aspettano nessuno. Ma sono lì che osservano, che cercano di capire. Come altri raccolti in capannelli più in là. Sono i nuovi arrivati, provengono dalla cosiddetta rotta balcanica. Sono iraniani, iracheni, pachistani, che arrivano attraverso la frontiera di Trieste. Poi ci sono quelli che si sono trovati improvvisamente in mezzo alla strada, perché il loro piano di inclusione è stato chiuso a causa del cambio delle regole sull’accoglienza con l’approvazione del decreto sicurezza di Salvini. Persone che in questi anni avevano trovato lavoro e che ora sono state “scaricate”, dalla nuova legge.

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Adan mi racconta che in città sono più o meno 200 le persone che dormono dove possono e mangiano in Caritas. «Ma rispetto a prima, racconta sottovoce, siamo “tollerati”. Capisci la parola, tollerati, è una parola brutta, perché si tollera un rumore, una puzza, un inciampo. Un essere umano però non va tollerato, va compreso, aiutato, capito, accolto. Capisci che tipo di civiltà stiamo costruendo. Si tollera, poi si passa all’intolleranza zero. Termine sentito più volte, usato contro gli stranieri. Termine non in uso dalla Costituzione, dal diritto, dalla elementare educazione, ma adottato fino alla nausea dalla politica disumana, per far fuori chi la pensa diversamente». Per ora questi ragazzi vengono tollerati e almeno in caso di brutto tempo dormono nell’atrio della stazione, riparati da coperte che tanti giovani ogni sera portano insieme a bevande calde e panini.

Adan ormai si sente di giocare in casa a Ventimiglia, conosce tanti, e tanti apprezzano la sua serietà. È preoccupato – mi dice – perché la situazione, anche se apparentemente tranquilla, non lo è affatto. Manca un punto di accoglienza perché oltre alla Croce Rossa con posti letto e infermeria tutti occupati, e la mensa Caritas, mancano strutture ricettive. Se con l’estate arriveranno dalla frontiera est, curdi, iracheni, pachistani naturalmente tutti decisi a proseguire per il Nord Europa, ma che dovranno per qualche giorno dormire, non troveranno strutture adeguate. Ci guardiamo negli occhi e la tristezza sembra rabbuiare ad entrambi quello che potrebbe essere il prossimo futuro, ma Adan mi mostra un messaggio che ha ricevuto su whatsapp titolato “Serena Pasqua” scritto da Erri De Luca, che dice così:

«Pasqua è voce del verbo ebraico pèsah, passare. Non è festa per residenti, ma per migratori che si affrettano al viaggio. Allora sia Pasqua piena, per voi che fabbricate passaggi dove ci sono muri e sbarramenti, per voi apertori di brecce, saltatori di ostacoli, corrieri a ogni costo, atleti della parola pace»

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