La Sicilia difficile

Un accordo tra un ex deputato regionale e un medico dell’Inps. Una borsa di studio concessa a una giovane esclusa dalla lista degli aventi diritto. La rivelazione degli elementi di un’indagine e di intercettazioni al gruppo malavitosi

Ci sarebbe una commistione indicibile di politica e affari, ma soprattutto di affari criminali che si dipanano all’ombra di una loggia massonica nell’inchiesta condotta dalla Procura di Trapani che ha portato, nei giorni scorsi, all’arresto di 27 persone nell’area di Castelvetrano. Nella lista degli arrestati ci sono nomi eccellenti: c’è l’ex presidente dell’Assemblea Regionale Siciliana, nonché ex assessore al Turismo, Francesco Cascio. Tutti sono finiti ai domiciliari. Nella città di Matteo Messina Denaro, attualmente sciolta per infiltrazioni mafiosi, la gestione del potere avveniva attraverso meccanismi occulti e paralleli. Ci sarebbero una loggia massonica supersegreta (pare senza nessun rapporto con la massoneria ufficiale), professionisti in grado di orientare le scelte degli amministratori, finanziamenti che viaggiano su canali paralleli e borse di studio che vengono concesse a chi non ne ha diritto. Ci sarebbe anche un’inchiesta per rivelazione di segreti d’ufficio che coinvolgerebbe il segretario dell’ex ministro degli Interni Angelino Alfano. Ci sono sindaci, ex sindaci e consiglieri comunali, tra gli arrestati ci sono anche tre poliziotti, che rivelavano le notizie sulle indagini.

Tra gli indagati c’è l’assessore regionale alla Pubblica Istruzione, Roberto Lagalla. Lagalla è stato anche rettore dell’università di Palermo. Avrebbe favorito una borsista, ma si dice completamente estraneo ai fatti.

L’inchiesta di Castelvetrano (coordinata dal procuratore Alfredo Morvillo, fratello di Francesca Morvillo, il magistrato moglie di Giovanni Falcone, morta insieme al marito nell’agguato del 1993 a Capaci) arriva a pochi giorni di distanza da quella di Termini Imerese. Nella cittadina tirrenica sono 96 gli indagati per varie ipotesi di reato: voto di scambio, favoritismi, promesse di posti di lavoro avrebbero inquinato due competizioni elettorali del 2017: le regionali che portarono alla vittoria del centrodestra e all’elezione dell’attuale presidente Nello Musumeci e le amministrative che condussero all’elezione dell’attuale sindaco Francesco Gionta, di centrodestra. Tra gli indagati c’è anche l’assessore regionale Toto Cordaro, Alessandro Aricò, deputato regionale e coordinatore del movimento del presidente Musumeci, “Diventerà Bellissima”, ci sono esponenti della Lega, come Alessandro Pagano e Angelo Attaguile, ci sono vari candidati del centrodestra e del centrosinistra, c’è la vicenda clamorosa dei fratelli Salvino e Mario Caputo (il primo, ex deputato regionale, non candidabile, e nella lista venne inserito il fratello Mario, ma si utilizzò il trucco, collegando ad esso due paroline: “Caputo Mario, detto Salvino”. La vicenda è nota come quella del “Caputo sbagliato”. Nell’inchiesta per voto di scambio coinvolto anche l’ex presidente della regione Totò Cuffaro, che ha scontato una condanna a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa ed è tornato in libertà.

Appena qualche giorno prima la Corte dei Conti aveva condannato l’ex presidente Rosario Crocetta, insieme all’ex assessore Bonafede e ad un funzionario regionale alla restituzione di due milioni di euro. L’inchiesta riguarda i fondi destinati alla formazione. Appena qualche giorno prima era stato arrestato anche il deputato regionale del Pd, Paolo Ruggirello.

Per necessità, ci fermiamo qui. L’elenco delle commistioni tra mafia e politica, e politica ed affari potrebbe continuare, facendo altri salti all’indietro nella storia di una “Sicilia difficile”, dove l’esercizio del potere fatica ad andare di pari passo con onestà e trasparenza. Il sistema da tempo soffre per commistioni e condizionamenti che partono da lontano. E dove l’autonomia ma, più probabilmente, gli eccessivi poteri e privilegi ad essa collegati, hanno determinato storture e pratiche scorrette, abusi, reati.

La Sicilia difficile. Quella che appare dalle cronache ha il volto di chi ha vissuto per anni nel magma della commistione tra politica e potere. Già nelle elezioni regionali del 2017 partì l’allarme per le liste non sempre “limpide” dove figuravano nomi pesanti e, talvolta, anche inquisiti. Oggi, la realtà porta a scoprire altre trame e commistioni in un sistema politico che, con tutta evidenza, ha camminato su sentieri sbagliati o che comunque non sempre è stato in grado di isolare i corrotti.

Nell’Assemblea regionale siciliana ci sono tanti indagati. Tanti ce ne sono anche tra gli ex parlamentari. E non accade per la prima volta. Altre inchieste, in passato, avevano sfiorato e condizionato l’Ars. La giunta Musumeci ha oggi al suo interno 4 indagati: 4 assessori sui 12 che affiancano il governatore. Un terzo della compagine di governo dell’isola. Non è poco. Questo dato deve far riflettere.

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