Arriva come un messaggio in una bottiglia, con un viaggio lungo ed incerto la lettera scritta da mani piccole, cuore innocente e mente audace: «Egregio signore, il buon Dio ci ha aiutati a conoscerci. Io mi chiamo Cristian e vi prego di venire a trovarmi quando potete. Se possibile, vorrei una radiolina…». Così inizia il biglietto spedito dalla Romania a Gianluca. Per errore era finito a Panama, poi rimbustato per arrivare, dopo diversi mesi, a destinazione.
Quando Gianluca legge la lettera capisce che quella richiesta lo porterà ad un viaggio imprevisto ma affascinante, e si mette in marcia! Ma partiamo con ordine. Gianluca fino a 33 anni era ateo, con un temperamento forte ed “insistente”, tanto che sua madre lo chiamava “Luca tortura”. Poi uno dei tanti incontri che si sono inanellati nella sua vita per aiutarlo a fuggire dalle incognite: un gesuita lo accoglie senza giudizi e senza pretese, gli insegna la preghiera del cuore e il giovane inizia a vivere da operaio della Provvidenza.
Nel 1990 parte con la moglie Rosa e un gruppo di amici per portare aiuti umanitari in Romania, Paese che col crollo del regime di Ceausescu era rimasto in condizioni disastrate. Nei vari luoghi in cui si recano lasciano biglietti da visita per chi volesse contattarli. Uno di quei biglietti passa per le mani del piccolo Cristian, di 12 anni, che non esita a chiedere una radiolina.
Nel ’90-‘91 il gruppo attorno a Gianluca e Rosa cresce e parte per Gavojdia, dove c’è l’orfanatrofio in cui vive Cristian: hanno la radiolina e anche tantissimi giocattoli e beni di prima necessità per gli altri bambini. “Chi cerca trova!”, e lì trovano Cristian, ma anche una situazione che li sconvolge. I bambini sono ammassati in sporchi stanzoni, sono magri e a piedi nudi. La puzza che arriva dalle camere e dai bagni è insopportabile.
Al gruppo di amici basta uno sguardo, capiscono che non basterà quella prima visita, ma ancora di più comprendono che il mondo deve cambiare e può farlo anche attraverso il loro piccolo impegno. Tornano così più volte, anche due all’anno, con tir carichi di giocattoli (i bambini devono giocare), ma anche di tanti altri beni da distribuire alle famiglie, che man mano conoscono. Ogni pacco viene preparato con cura, con il nome di chi deve riceverlo, pensando ad ogni situazione.
E la provvidenza inizia a lavorare con tanta fantasia. Una volta mancano le pile per i giocattoli: servono tante pile, ma in cassa niente soldi. Rosa esce dal lavoro e vede vicino alla sua macchina una banconota, poi un’altra, e un’altra ancora. Le conta tutte insieme: era la cifra esatta per comprare le batterie (420€). Un’altra volta un amico arriva con una donazione di 5.000€: erano i soldi che servivano proprio per delle spese necessarie.
Intanto anche Cristian cresce e ha nel cuore il desiderio di ricambiare l’amore ricevuto. Nel 2007 suggerisce a Gianluca di portare aiuti anche a Oravita, un paese che si trova un paio d’ore più a sud. Quella tappa è, in realtà, una stazione di partenza per un nuovo progetto della provvidenza.
Poi un incontro casuale: un uomo che sente il gruppo parlare in italiano, si avvicina e, conoscendo la lingua per aver lavorato qualche anno in Italia, suggerisce al gruppo di andare ancora più a est, a Bradet, dove c’è una scuola in grande difficoltà. Ed infatti trovano una situazione che ricorda molto le descrizioni di Carlo Levi in Cristo si è fermato ad Eboli… La nuova versione avrebbe potuto chiamarsi: “Cristo si è fermato a Bradet”. Un paese totalmente abbandonato, fuori dal mondo, un villaggio isolato e dimenticato da tutti.
Bussano alla porta di quella che sembrava una scuola, una ex caserma russa; apre una maestra, Florentina, che sembrava li stesse aspettando, e gli mostra la scuola. La desolazione dell’incontro con Bradet aumenta nel trovarsi davanti a scene ancora più drammatiche: topi che girano ovunque come inquilini indisturbati, banche e porte rotte, latrine improvvisate e puzzolenti, bimbi con vestiti laceri e sporchi. Il cuore del gruppo di parmigiani è spezzato, la tristezza li avvolge, ma li sprona a mettersi subito al lavoro. C’è da sistemare la scuola.
Gianluca, su suggerimento di Maria Grazia di Milano, partecipante ad una prima spedizione proprio a Bradet, decide di prendersi un anno sabbatico dal suo lavoro di commercialista per dedicarsi a tempo pieno all’impresa. Maria Grazia suggerisce le strategie opportune e riesce a trovare parte dei fondi, che servono a Bradet. In un anno, grazie anche all’aiuto di tante forze locali, ristrutturano la scuola e permettono lo svolgersi di attività le più varie per i ragazzi.
Finito l’anno sabbatico, Gianluca capisce che c’è ancora bisogno di lui e, d’accordo con la moglie, decide di lasciare definitivamente il lavoro per dedicarsi a tempo pieno a quella che diventerà l’associazione “Il giocattolo”.
Passati un po’ di anni, anche a Bradet la crisi demografica si fa sentire: non ci sono più bambini e la scuola chiude. C’è lì vicino però la città di Anina, che ha ancora qualcosa da suggerire a Gianluca.
Anina ha un nome palindromo, come una strada che può essere percorsa in tutti e due i sensi, come i viaggi Italia-Romania e Romania-Italia, e che portano lo stesso carico di esperienze, emozioni, gioie, aspettative, entusiasmi e ricchezze.
La città aveva avuto una sua prosperità fino a metà del ‘900 grazie alla scoperta di una miniera di carbone a cui seguì anche la costruzione di una linea ferroviaria, tuttora in funzione, di collegamento con la città di Oravita. Ma dopo la caduta del regime comunista e la chiusura della miniera, l’economia della città ha avuto un forte declino.
Ad Anina il gruppo di Gianluca sistema un grande edificio, ristorante della ex miniera, e mette su un doposcuola con mensa. Ancora oggi usufruiscono dello spazio circa 40 bambini di diverse etnie. Alcuni vanno a scuola e poi nel centro pranzano e fanno i compiti, altri non vanno neanche a scuola. Il Centro Diurno “Casa dei bambini don Bosco” (questo è il nome del centro ispirato alla pedagogia salesiana) è un luogo in cui per alcune ore della giornata possono davvero essere bambini, ricevere l’unico pasto caldo della giornata e imparare qualcosa.
Le storie di questi minori sono in gran parte molto dolorose: abusi, abbandoni, povertà, violenza, ignoranza. Per qualche ora possono sperimentare storie nuove, belle, di solidarietà e fratellanza. Possono giocare, divertirsi, essere seguiti e sottoposti anche a visite mediche e dentistiche. Soprattutto c’è un ambiente di amore, quello che non hanno a casa.
Lavorano nel centro diurno circa 11 persone tra cui la maestra Florentina, un insegnante per lo sport, una psicopedagogista, e ragazzi che si alternano per svolgere il servizio civile. Inoltre, la scuola di Bradet è ancora usata per accogliere gruppi, eventi e anche per soggiorni vacanza, visto che la zona intorno è ricca di una natura spettacolare!
Per chi volesse saperne di più: www.ilgiocattolo.org.
Ulteriori informazioni su www.turismosolidale.org.