La questione Bankitalia oltre la rissa in Parlamento

La decisione della Boldrini di interrompere il dibattito alla Camera su decreto Imu e rivalutazionedelle quote della Banca d’Italia ha acceso durissime polemiche con i parlamentari. Di cosa si tratta? Intervista ad Andrea Baranes, presidente della Fondazione culturale di Banca Etica
Palazzo Koch a Roma

La decisione della presidente della Camera Laura Boldrini di adottare la cosiddetta “tagliola” per interrompere la discussione sugli emendamenti dell’opposizione e andare al voto di conversione in legge del decreto Imu-Bankitalia continua ad alimentare un dibattito durissimo. Cercando di andare oltre la cronaca degli scontri avvenuti all’interno dell’assemblea legislativa e le continue polemiche che invadono i mezzi di informazione, cerchiamo di rendere comprensibile il significato dell'aggiornamento del valore delle quote di capitale della Banca d'Italia, oggetto della nuova legge. Lo stesso istituto di via Nazionale ha pubblicato una nota di chiarimento sul proprio sito ufficiale. Sulla questione abbiamo sentito il presidente della fondazione culturale di Banca etica, Andrea Baranes

Da cosa nasce la perplessità sul decreto del governo espressa anche da un economista come Tito Boeri? Di chi è la Banca d'Italia? Come mai la maggioranza di un istituto con funzioni pubbliche è in mano a soggetti privati?

«Le perplessità sono diverse e riguardano prima di tutto l'assetto societario. Storicamente le quote della Banca d'Italia (BdI) sono state di proprietà delle banche, ma la cosa fu decisa quando l'intero sistema bancario italiano era pubblico. Dopo l'ondata di privatizzazioni e di fusioni e acquisizioni degli anni Novanta si è verificato un doppio passaggio: da un lato le quote diventano di banche private, dall'altro poche banche (Intesa Sanpaolo e Unicredit in particolare) detengono la gran parte delle quote. Tali quote non sono assimilabili alle azioni di una S.p.a., perché di fatto non garantiscono quasi nessun potere. A maggior ragione ci si domanda però il motivo della loro esistenza. Di fatto ci troviamo oggi in una situazione per lo meno intricata, se non del tutto incomprensibile: una legge del 2005 ribadisce che la BdI è un istituto di diritto pubblico. Nello stesso momento è l'organo che controlla le banche private e quindi ci troviamo di fronte a un istituto di diritto pubblico con quote private detenute dagli stessi soggetti che sono poi controllati dall'istituto. Anche ribadendo che il potere che deriva dal detenere le quote è davvero minimo, data la governance peculiare della BdI, si fa davvero fatica a capire quale possa essere la motivazione per giustificare un tale assetto societario».

Cosa ci chiedono le norme europee vigenti in materia?

«Ogni banca centrale ha un proprio statuto e proprie normative. Su questo le direttive europee non impongono un meccanismo piuttosto che un altro. Anche la rivalutazione delle quote non è certo stata richiesta dall'Europa, ma è una scelta politica del nostro governo».

Perché la legge del 2005 che prevedeva il ritorno in mani pubbliche della proprietà di BdI non è stata attuata?

«Di fatto la legge del 2005 prevede che la Banca d'Italia sia un istituto di diritto pubblico, e la lettera è stata rispettata, forse meno lo spirito della normativa. Come accennato, la peculiarità è in un ente pubblico con quote detenute da privati, quote che però non danno lo stesso potere delle azioni di una s.p.a. È quindi difficile anche solo capire cosa significhi in questo caso “il ritorno in mani pubbliche”. Secondo alcuni il ritorno delle quote in mano pubblica avrebbe dovuto comportare un esproprio di queste quote oggi detenute dalle banche private, il che pone dei problemi giuridici. Ovviamente rimane difficile capire cosa possa significare l'esproprio pubblico di un istituto di diritto pubblico… Insomma, si rinnova la sensazione di una situazione unica e per molti versi decisamente poco chiara».

Che significa la rivalutazione del capitale sociale di BdI da 156 mila euro a 7 miliardi e mezzo di euro? Sono soldi che le banche private hanno versato? Qual è stato il ritorno positivo per le casse dello Stato?

«Le quote della Banca d'Italia erano state stabilite negli anni Trenta. Da allora il valore della Banca d'Italia, misurato come utili che produce e asset detenuti, è ovviamente cresciuto. Rimane da capire come la nuova cifra di 7,5 miliardi sia stata determinata. Secondo alcune stime il valore di tali quote poteva essere valutato tra 1,3 e 1,7 miliardi di euro. La mancanza di informazioni chiare da parte del governo nell'indicare come si sia arrivati a determinare un valore di 7,5 miliardi ha sicuramente rafforzato l'idea di una situazione per molti versi oscura. Le banche non hanno versato nulla di tali 7,5 miliardi per ritrovarsi a bilancio le quote corrispondenti. Da qui si è diffusa l'idea di un regalo per le banche.

Quali le conseguenze?

Dalla parte dello Stato non c'è stato nessun costo. Semplicemente è stato deciso di fissare questo nuovo valore. Per capire, diciamo che abbiamo in casa un quadro che crediamo valga mille euro. Un giorno invitiamo un critico, che ci dice che quel quadro ne vale 5 mila. Di colpo sono più ricco, ma nessuno ha dovuto pagare per la differenza di 4 mila euro. Lo Stato ha guadagnato perché sulla rivalutazione delle quote è stata prevista una tassazione del 12 per cento, che ha portato all'erario 900 milioni di euro di entrate. Diverse fonti hanno sostenuto che, visti i vantaggi per le banche, la tassazione avrebbe potuto e dovuto essere sicuramente maggiore».

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