La protesta dei tassisti

L'opinione di un imprenditore in merito all'agitazione che ha bloccato il traffico nelle principali città italiane per contestare la concorrenza, definita scorretta, e i modelli di business della piattaforma Uber

I nuovi modelli di Business.

 

Negli anni Novanta uscì un libro di Christensen The Innovator’s Dilemma. Si poneva due domande: «Perché è così difficile per un’azienda mantenere il successo?» e «l’innovazione di successo non può davvero essere prevista, così come suggeriscono i dati?».  Si rispose da solo con una teoria, per oltre vent’anni tutti gli strateghi aziendali dissero di ispirarsi a lui, il suo terreno di coltura era Silicon Valley, fino all’esempio mito del modello, Uber. Questi, in cinque anni raggiunse una capitalizzazione monstre: 68 miliardi $, più di Gm e Fca insieme!

Una sintesi di questo mondo magico: «Inventare il nuovo distruggendo il vecchio».

Dopo l’uscita dei risultati di Uber . Ecco i conti della serva (modalità ancora insuperata per valutare un’azienda): da settembre 2014 a settembre 2015 ha fatturato 1,4 miliardi $ ne ha persi 2, cioè ogni 100 $ incassati ne perde 143. Nel primo semestre del 2016, pur avendo tagliato massicciamente il compenso dei driver, è riuscita a perdere 1,2 miliardi (2,5-3 su base annua?). Secondo Hubert Horan, massimo esperto di trasporti pubblici, gli utenti di Uber con questi prezzi pagano solo il 43% dei costi.

L’analisi,  il loro è il vecchio giochino del dumping (prezzi-sociale) per distruggere i concorrenti fino a diventare monopolisti. La novità è l’aggirare le leggi con modalità illegali però legalizzate (lobbying) in corso d’opera, nel dribblare le tasse, nel confezionare geniali confetti comunicazionali.

Finalmente la prestigiosa Mit Sloan Review  demolisce definitivamente la teoria di Christensen: «Le sue affermazioni sono corrette solo nel 9% dei casi», la celebre storica Jill Lepore di Harvard «la teoria fa acqua da tutte le parti», persino Economist, un tempo affascinato dal nuovo, è duro: «Falso che siano aziende competitive visto che puntano al monopolio»; poi il colpo del K.O. «non investono, peggio, accumulano riserve in paradisi fiscali».

Diciamolo: questa teoria della disruptive innovation  non solo ha gabbato  studiosi di organizzazione aziendale e di modelli di business, beffato i media, turlupinato investitori, ma ha distrutto il tessuto sociale (welfare, regole, sindacati) del mondo del lavoro, al solo scopo di raccattare miserabili scampoli di business. Per dare lavoretti a poveracci, ha creato altrove disoccupati, favorendo le grandi aziende che hanno così potuto avvalersi di lavoratori disperati, abbassando il costo del lavoro.

Alla fine: «Questa ideologia, questi modelli, questi comportamenti manageriali, hanno fatto vincere Donald Trump».

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